Quella condotta da Soru è una rivoluzione culturale

Quella proposta da Renato Soru è una rivoluzione culturale; e per capirlo meglio è necessario analizzare il suo messaggio alla luce del comportamento subalterno dei suoi avversari.

È innegabile, infatti, che l’atteggiamento di Paolo Truzzu e Alessandra Todde al cospetto dei loro leader nazionali sia profondamente umiliante per i sardi. Che poca considerazione hanno di noi, nel pensare che possiamo sentirci lusingati vedendo Conte fingersi interessato al banco del pesce o Salvini che promette di portarsi a casa “i compiti da fare”.

Che poca stima di se stessi – come singoli e come popolo – hanno coloro che si fanno andare bene un candidato come Truzzu, il quale scompare, letteralmente, al cospetto della Presidente del Consiglio che ne ha preso il posto persino nei manifesti elettorali. Come se alla Presidenza della Regione dovesse andarci lei per procura. Con Truzzu “forte e fiero” unicamente di poter contare, in caso di elezione, su un Governo che concederà ciò di cui avremo bisogno.

E che dire di Alessandra Todde, che contraddicendo se stessa per l’ennesima volta – dopo aver “preteso che l’ultimo appuntamento elettorale fosse esclusivamente sardo” – da una settimana si fa vedere esclusivamente sotto l’ala protettrice di big della politica nazionale: Conte, Bersani, Schlein, Fratoianni e addirittura Niki Vendola. Come dei tutor. Col suo nome riportato sui manifesti addirittura con un font più piccolo rispetto a quello degli ospiti.

Cosa pensano di ottenere Truzzu e Todde dalla calata dei loro leader? Non certo un aumento del consenso.

La risposta, probabilmente, è un’altra: alla base di questo atteggiamento esiste un complesso ben radicato in molti sardi. Ai quali, essendo stata inculcata l’idea di valere meno di altri, di non avere una storia importante, di non avere una lingua pregevole, di vivere in una terra non tanto prestigiosa, hanno bisogno dell’approvazione esterna per apprezzare se stessi. Per cui, ci si sente lusingati se Giuseppe Conte si presenta ai microfoni di Radiolina e scimmiotta il canto a tenore, con risultati che definire cringe è riduttivo. Così come ci saranno sardi bisognosi di trovare conferma delle loro convinzioni sentendo Elly Schlein affermare per sentito dire che strade e sanità in Sardegna non funzionano. Lo sapevamo già. Per non parlare di Gasparri, che è venuto a spiegarci quali sono le risorse migliori per la nostra Isola.

In un quadro così desolante in termini di considerazione di noi stessi, quella proposta da Soru e dalla Coalizione Sarda si rivela come una vera e propria svolta del pensiero, perchè porta alla ribalta dell’opinione pubblica le elaborazioni dei più raffinati intellettuali sardi, rimaste finora idee poco più che di nicchia. Incentrate sul far emergere nei nostri concittadini la consapevolezza che l’Isola possiede risorse preziosissime in molteplici ambiti che potrebbero consentirle di uscire dal sottosviluppo.

Qualsiasi rivoluzione, però, sconta sempre un prezzo salato. Per il semplice motivo che chi ne viene danneggiato – nel nostro caso, chi attualmente tira i fili del sistema attuale – non cederà mai la propria posizione di privilegio senza lottare strenuamente per conservarla. Il punto però è che, nella storia, tutti i rinnovamenti culturali, quando le idee erano vincenti, alla fine hanno prevalso. E anche in Sardegna sta accadendo esattamente questo. Una forza interamente sarda sta ponendo in pericolo un sistema consolidato, che mai nessuno aveva avuto il coraggio di picconare in maniera così imponente e preoccupante per i destinatari. E poichè quando le idee sono meritevoli non c’è mai modo di arrestarle se non mediante repressioni che alla lunga si rivelano sempre inutili, non resta che lo strumento della manipolazione dell’informazione: oscurare le idee che creano rischi di tenuta per il sistema; magnificare il più possibile gli esponenti dell’antico regime, dipingendo come irrinunciabili persone, idee e programmi che in realtà di nuovo non hanno nulla ma che in perfetto stile gattopardesco consentono di “cambiare tutto affinchè nulla cambi”.

I sistemi consolidati hanno sempre cercato di reprimere quelle idee che ne mettevano a repentaglio la perpetuazione. Mentre hanno tranquillamente dato spazio a coloro che – pur ammantandosi di innovazione – consideravano innocui.

È così che si spiega l’enorme risalto dato, in questi giorni, alla coalizione guidata da Alessandra Todde. Nella speranza, probabilmente, di rosicchiare qualche voto a Renato Soru, guardato con enorme preoccupazione da chi vedrebbe con relativa indifferenza l’alternanza tra questo centrodestra e questo centrosinistra mentre considererebbe fatale per i propri piani la vittoria di un progetto che costituirebbe una svolta epocale per il futuro della Sardegna.

Nel giro di pochi mesi, il progetto della Coalizione Sarda ha avuto una crescita esponenziale; al punto da poter contendere la vittoria a partiti storici e ad alleanze consolidate. Il che ha dell’incredibile, se si considera quanto sia recente la discesa in campo di questa nuova formazione.

Significa che la strada è quella giusta. Che è solo questione di tempo per il pensiero subalterno su cui si regge il dominio dei partiti italiani in Sardegna.

La reazione scomposta nei confronti del progetto di Soru è facilmente spiegabile: l’inserimento di una forza totalmente autoctona suscita indescrivibile irritazione in determinati ambienti, perchè a questo punto i sardi hanno il possesso della palla. E saranno gli altri a doverla andare a riprendere, a differenza di quanto accaduto finora. Ora, gli stessi sardi hanno l’opportunità di scegliere in quale squadra militare: quella capitanata da chi gli farà visita una volta ogni cinque anni per raccontare loro quanto è buona la bottarga; o quella che vuole essere artefice diretta del proprio destino.

Domenica i sardi avranno la possibilità di decidere. In ogni caso, qualunque sia l’esito del voto, il meccanismo innescato dalla rivoluzione culturale promossa da Soru non potrà più essere fermato. Stavolta sono loro a non averla vista arrivare.

Antonio Piras