Eolico in Sardegna: la Giunta brancola nel buio

Afferma la Presidente Todde sulla sua pagina: “la Sardegna vuole ottemperare alla quota di rinnovabili che deve raggiungere entro il 2030 ma, dato che le richieste di autorizzazioni eccedono già ampiamente tale quota, vogliamo poter decidere quali autorizzazioni concedere per raggiungere con il minimo impatto possibile la quota a noi assegnata” e aggiunge: “la Regione deve poter decidere come e con quale velocità sviluppare la propria strategia energetica, invece di essere travolta dalle richieste di autorizzazione come sta accadendo oggi”.

Sostiene, ancora, la Todde: “dopo l’ultima bozza del ministero del decreto sulle aree idonee, mi sono sentita, come Sardegna, presa in giro, perché il Governo non ha recepito neanche una delle istanze che invece sembrava aver accolto dopo l’incontro di dieci giorni fa a Roma, in cui le Regioni, al termine delle trattative, avevano riassunto un ruolo di primo piano sulla scelta delle aree idonee per le installazioni. Invece di tutto questo nella bozza, non abbiamo trovato alcuna traccia”.

Precisa, infine, l’Assessore Emanuele Cani: “l’obiettivo è quello di ridare centralità alle Regioni, noi come Regione Sardegna vogliamo decidere sul nostro territorio, vogliamo scegliere noi dove fare le cose”.

Non era stato difficile prevedere, in tempi non sospetti, che la nuova maggioranza in Regione avrebbe cercato, con l’aiuto della stampa, di placare gli animi del malcontento derivante dai tentativi di speculazione eolica sventolando una (inesistente) moratoria e cercando di far ricadere le responsabilità di quanto sta accadendo sul Governo nazionale in vista delle elezioni alle porte.

È opportuno fare chiarezza.

Il decreto ministeriale che la Todde giudica offensivo circola, in bozza, da quasi un anno. L’ultima versione, pubblicata qualche giorno fa, non differisce di troppo da quella precedente, perlomeno per gli aspetti più importanti: ossia, la quota di produzione assegnata alla Sardegna (pari a poco più di 6,2 GW) nonché per la salvezza dei procedimenti avviati in data antecedente all’entrata in vigore della legge sulle aree idonee che la Regione, a breve, sarà chiamata ad approvare. Il ritardo nell’emanazione è da imputare al Governo Meloni ma anche al Governo Draghi, che per quasi un anno è rimasto inerte sul punto nonostante esso stesso avesse previsto il termine di 180 giorni.

Pertanto, già durante la campagna elettorale si sapeva dell’esistenza di questo problema ma la Todde sembrerebbe venirne a conoscenza soltanto ora.

Il punto è un altro. E la Todde dovrebbe conoscerlo molto bene. Nel momento in cui pretende che la Regione, una volta raggiunta la propria quota, debba poter decidere quali autorizzazioni concedere, dimentica che a frapporsi tra il suo auspicio e la realtà è, ancora una volta, l’ormai celeberrimo Decreto Draghi. Quello che, lo ricordiamo ancora, proprio lei affermava che “non esiste”. Invece esiste eccome. Ed esiste, in particolare, l’art. 20, comma 1, il quale afferma che col decreto ministeriale (proprio quello che la Todde giudica “offensivo”) “sono stabiliti principi e criteri omogenei per l’individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee all’installazione di impianti a fonti rinnovabili aventi una potenza complessiva almeno pari a quella individuata come necessaria dal PNIEC per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo delle fonti rinnovabili”.

Si badi bene: “potenza complessiva almeno pari”.

Ciò significa che la legge statale, ossia il decreto Draghi, demanda al decreto ministeriale il compito di individuare la soglia minima (per ogni singola Regione) di produzione da rinnovabili e non una quota massima. Nonchè i criteri ai quali il decreto ministeriale – che è normativa di grado gerarchico inferiore rispetto al decreto legislativo – deve attenersi.

Quando la Todde afferma che la Regione deve poter decidere “come e con quale velocità sviluppare la propria strategia energetica”, dimentica che ciò viene impedito esattamente dalle norme del Governo in cui lei, da vice Ministro, rivestiva un ruolo fondamentale proprio in materia di energia. Anche perché il decreto Pichetto Fratin parla di 6,2 GW, mentre le richieste superano i 50 GW: e arrivano a tanto proprio perché il decreto Draghi non ha fatto nulla per impedirlo. C’è da credere che sia stata una precisa scelta politica e non una dimenticanza.

È singolare, peraltro, che ora che non siede più in Parlamento la Todde si appelli ai parlamentari sardi affinché intervengano in proposito. Quali sono state le sue iniziative da deputata sul punto? E da Vice Ministro? Sapeva che le norme che il suo Governo stava introducendo avrebbero legato mani e piedi alla Sardegna? Se lo sapeva, in che modo ha agito per impedirlo? E l’Assessore Cani ha già scordato che a sostenere quel Governo c’era anche il suo Partito Democratico?

Il motivo per cui la Sardegna si ritrova travolta da una quantità abnorme di richieste di autorizzazione nasce dunque dal fatto che si demanda al DM l’individuazione di una quota minima mentre non è prevista, al momento, la determinazione di una soglia massima di produzione per le singole Regioni. Né il decreto ministeriale è chiamato ad introdurla dalla normativa primaria, dettata dal Governo Draghi.

Del resto, che interesse avrebbe lo Stato ad individuare una soglia massima in capo alle singole Regioni? Molto più conveniente lasciarsi aperta ogni strada. Anche perché, quando i sardi devono scegliere i propri rappresentanti, continuano ad eleggere in larghissima parte i partiti che da Roma ricevono gli ordini. Pensare che il problema sarebbe stato risolto dagli stessi che l’hanno causato era folle. Chi è causa del proprio male, chi ha creduto al ricatto del voto utile e allo slogan del momento del noi o alle sceneggiate della Meloni in Fiera, anziché prediligere forze interamente sarde, ora pianga se stesso.

La Sardegna si trova, dunque, in una situazione disastrosa. Per rimediare alla quale, la Giunta Todde ha escogitato un rimedio, più che inutile, dannoso: perché, oltre a non essere in grado di contrastare alcunchè, ci sta facendo perdere ulteriore tempo prezioso. Come abbiamo ripetuto fino allo sfinimento, la famosa moratoria, che al momento è solo una proposta priva di alcun effetto giuridico, non sortirà i benefici sperati perché – anche qualora dovesse entrare in vigore – è vietata dal solito decreto Draghi (art. 20, comma 6, d. 199/2021). Qualcuno ci crede ancora ma per fortuna sono sempre di più i cittadini che hanno iniziato ad aprire gli occhi.

Se la Regione vuole veramente contrastare l’ondata speculativa che sta subendo, deve immediatamente far valere la propria competenza concorrente in materia di produzione di energia, prevista dall’art. 4 dello Statuto Sardo, e imporre immediatamente con legge regionale una soglia massima di produzione; chiaramente superiore alla quota assegnata dal decreto ministeriale Pichetto Fratin ma enormemente inferiore agli oltre 50 GW di richieste attualmente in itinere.

Ovvero, deve dire allo Stato: noi faremo la nostra parte, ma oltre una soglia tot calcolata in base allo stretto necessario non possiamo darvi.

Se non si agisce in questi termini, i valori paesaggistici non saranno sufficienti per fermare le richieste, perché la giurisprudenza costituzionale e amministrativa ha già dimostrato ampiamente di ritenere prevalenti, rispetto ad essi, le istanze da produzione di rinnovabili. Occorre fissare un tetto.

Di fronte a una norma di questo tipo, la Corte Costituzionale non potrebbe muovere le obiezioni (ossia, il rispetto dei vincoli europei) che facilmente incontrerà l’insulsa proposta di moratoria sbandierata dalla Giunta Todde: l’Europa chiede all’Italia una determinata quota complessiva di energia da rinnovabili ma non pretende certo che la Sardegna se ne faccia carico interamente. L’UE richiede una determinata quantità di produzione nazionale; la ripartizione tra Regioni la decide lo Stato. Questa ripartizione deve essere equa, se si vuole rispettare la Costituzione.

La Sardegna potrebbe legittimamente pretendere dallo Stato di non essere chiamata a produrre più di quanto necessario al rispetto della propria quota oltre al suo fabbisogno; facendo valere, oltre al richiamato art. 4 dello Statuto, anche il principio di leale collaborazione nonché – dandogli finalmente un senso – il principio di insularità; l’utilizzo delle favorevoli condizioni per la produzione di rinnovabili può costituire un valido strumento per colmare il ritardo di sviluppo derivante dal fatto di essere un’isola, peraltro già gravata da pesanti servitù che ne limitano le potenzialità. Non riconoscerle strumenti giuridici per contrastare questa barbarie speculativa significherebbe porsi fuori dal tracciato costituzionale.

P.S. Un’ultima domanda alla Presidente Todde: potrebbe finalmente spiegare la ragione per la quale incontra tutti dispensando selfie e sorrisi mentre appare decisamente riluttante a confrontarsi in pubblico con i Comitati che si occupano di eolico?

Antonio Piras