Eolico, la Todde esulta: ma dov’è la vittoria?

A due giorni dalle importanti elezioni comunali ed europee, irrompe sulla totalità della stampa sarda la notizia secondo cui il Ministero dell’Ambiente, accogliendo le richieste della Presidente Todde, avrebbe modificato la bozza del decreto ministeriale sulle aree idonee in senso favorevole alle esigenze della Sardegna.

“Accolte le richieste della Sardegna” (Unione Sarda). “Speculazione sulle rinnovabili, il Governo accoglie tre richieste della Giunta Todde sul decreto aree idonee” (Sardiniapost). “Accolte le modifiche sulle rinnovabili, vittoria della Sardegna” (Cagliaripad). “Potrebbe arrivare lo stop definitivo alla proliferazione selvaggia degli impianti eolici e fotovoltaici che rischiano di stravolgere il paesaggio italiano” afferma trionfalmente Mauro Lissia sul Fatto Quotidiano; e Mario Guerrini, dal pulpito del suo Osservatorio, aggiunge: “Sembra essere concessa alla RAS una sufficiente potestà autorizzativa per contrastare l’invasione di pale eoliche”. Non poteva, ovviamente, mancare la dichiarazione pre-elettorale della Presidente: “Il fatto di aver alzato la voce e di aver fatto capire che siamo interlocutori seri ha fatto in modo di essere rispettati rispetto al passato. In un mese e mezzo abbiamo ottenuto quei risultati che in due anni e mezzo non sono stati portati a casa”.

Si tratta di semplificazioni che farebbero sorridere, se il problema non fosse serio; non solo perché giungono, puntualmente, a poche ore dall’apertura delle urne, rendendo impossibile una replica della medesima portata, ma soprattutto perché forniscono ai cittadini comuni un quadro completamente distorto della situazione giuridica.

Afferma la Regione Sardegna in una sbalorditiva nota: “noi abbiamo chiesto che sia la Sardegna a decidere quali impianti in fase di autorizzazione verranno fatti salvi e quali no. Il MASE ha accettato (in attesa di conferenza domani) questa nostra richiesta. Inoltre, il Mase ha accettato anche che l’eolico off shore concorra al 100% per il raggiungimento dell’obiettivo e non solo il 40%. Adesso sarà la regione a decidere quali verranno salvati e quali no. E disciplineremo anche le aree idonee quindi tutte le nuove autorizzazioni”.

Che sia attribuito alla Regione il compito di disciplinare le aree idonee lo prevedeva già la legge, sebbene la nota faccia pensare ad una conquista. In ogni caso, questa disciplina è fortemente vincolata dalla legge statale. Inoltre, affermare che “disciplineremo tutte le nuove autorizzazioni” significa non tenere conto che la Regione, da sola, non decide nulla.

Primo punto. La modifica della bozza, secondo gli annunci, concernerebbe l’art. 10 della stessa e prevederebbe che alle richieste di autorizzazione non si applichi più la normativa previgente, come inizialmente previsto.

Tuttavia, la nuova bozza che sta circolando in queste ore prevede una novità stupefacente: l’art. 10, a differenza di quanto annunciato dalla Todde, è completamente sparito. La norma transitoria è scomparsa. Se così fosse, mancherebbe una norma applicabile al periodo intercorrente tra la presentazione della richiesta di installazione e il provvedimento finale in assenza della legge regionale; rendendo ancora più complicato, per la Sardegna, disporre di strumenti di tutela. Le decisioni sulle richieste già avviate verrebbero interamente rimesse agli orientamenti del Consiglio di Stato sulle successioni di leggi nel tempo, anziché ad una norma chiara per tutti ex ante. Potrebbe sorgere addirittura una situazione più complicata ed incerta rispetto a quella attuale, che aprirebbe la strada ad indennizzi a favore delle multinazionali. La Presidente Todde cos’ha da dire sul punto?

In ogni caso, se anche si considerasse applicabile normativa vigente al momento dell’emanazione del provvedimento conclusivo (e non quella in vigore durante l’istruttoria), ciò non cambierebbe di molto la situazione; le richieste di autorizzazione proseguirebbero il proprio corso; se ne dovrebbe, ovviamente, valutare la compatibilità con la legge regionale sulle aree idonee (da approvare) ma a tal proposito è fondamentale tenere presente che la Regione, nel delinearla, dovrà attenersi stringentemente ai principi stabiliti dal decreto Draghi, dallo stesso decreto ministeriale e, in generale, dalla normativa statale, che già prevedono paletti abbastanza stretti quali, ad esempio, le distanze massime che la Regione dovrà garantire dai luoghi tutelati o la tipologia di zona da preferire nella scelta delle aree idonee.

In altre parole: è assolutamente possibile che le richieste già presentate risultino conformi alle indicazioni che la Regione fornirà con la propria legge. Magari non tutte; ma ciò non significa che le installazioni non si attestino su una portata ben superiore alla soglia minima imposta alla Sardegna.

Pertanto, il “nuovo” articolo 10 del DM (che, a differenza dell’annuncio della Todde, sembrerebbe scomparso dal decreto ministeriale) nel rendere applicabile la normativa successiva anzichè quella previgente, non esclude in alcun modo che tantissime delle richieste già presentate possano, comunque, rivelarsi conformi ai requisiti necessari per l’approvazione. Anche perché, ai sensi dell’allegato II, parte II, del d.lgs. 152/2006, la valutazione di impatto ambientale, sopra i 30 MW, spetta ad una commissione statale. Non a caso, con riferimento al noto caso del parco eolico Nulvi-Ploaghe, di cui abbiamo parlato tempo fa, la valutazione statale era stata favorevole, nonostante la Regione si sia opposta; e il Consiglio di Stato ha concesso il via libera nonostante la potenza fosse ben al di sotto dei 300 MW previsti dall’art. 12 d. 387/2003 per la competenza regionale.

In definitiva, non essendo previsto, come sarebbe stato opportuno, un tetto massimo di GW di produzione nel territorio sardo, nell’ambito di queste aree idonee gli impianti da rinnovabili potrebbero comunque proliferare ben oltre i 6,2 GW attribuiti alla Sardegna dal decreto Pichetto Fratin.

Se la Todde vuole veramente porsi al riparo, anziché continuare a sventolare la sua inconsistente moratoria, approvi una legge che preveda un tetto massimo di produzione per la Sardegna e abbia il coraggio di andare allo scontro vero col Governo e con le multinazionali. Finora, non l’ha fatto.

Il secondo punto che ha scatenato un’inspiegabile ma irrefrenabile esultanza negli ambienti del campo largo è quello riguardante la produzione da off-shore: ossia, gli impianti in mare. Secondo la prima bozza, ai fini del calcolo per il raggiungimento degli obiettivi (i 6,2 GW) si sarebbe dovuto tenere conto del 40% della potenza nominale degli impianti di nuova costruzione. La bozza definitiva, invece, consentirebbe di calcolare tale potenza per intero.

Si tratta di una vittoria di Pirro.

L’art. 12 del d. 387/2003, che disciplina la competenza in materia di autorizzazioni, prevede infatti che “per gli impianti off-shore, incluse le opere per la connessione alla rete, l’autorizzazione è rilasciata dal Ministero della transizione ecologica di concerto il Ministero delle infrastrutture”. Questo significa che – se anche un impianto off-shore verrà considerato per intero nel calcolo della produzione richiesta alla Sardegna – deciderà lo Stato se autorizzarlo o meno. Il problema, pertanto, non sta nella percentuale di produzione imputata alla Sardegna ma nell’installazione in sè di questi parchi, sui quali sarà Roma a decidere; anche perché, prevedendo il decreto una soglia minima e non massima, ciò non esclude che essi vengano autorizzati in misura ben superiore rispetto alla quota-base richiesta alla nostra isola. Detto in parole povere: se un parco off-shore verrà autorizzato davanti a Sant’Antioco, sarà una magra consolazione sapere che verrà conteggiato al 40% o al 100%, specie perché la soglia da raggiungere rappresenta un tetto minimo e non un massimale.

Per l’ennesima volta, pertanto, la realtà non viene spiegata ai sardi in maniera chiara. Le urne, domani, saranno aperte e questi annunci trionfalistici ben divulgati dalla stampa consentiranno di monetizzare il risultato; i fatti diventeranno comprensibili alla gran parte della cittadinanza quando ormai sarà troppo tardi, come già accaduto a febbraio.

Antonio Piras