La moratoria è legge: 10 miti da sfatare

È stata pubblicata sul Buras la legge regionale n. 5/2024 (1), l’ormai famigerata “moratoria sull’eolico”. Ne abbiamo messo in evidenza più volte l’inadeguatezza; non è opportuno ripetere in questa sede quanto già evidenziato e si rimanda agli articoli precedenti per l’analisi del contesto. È necessario, invece, per chiudere questa serie di analisi effettuate negli ultimi mesi, chiarire alcuni punti che – anche grazie a fuorvianti commenti nei social – negli ultimi giorni stanno alimentando convinzioni sbagliate tra i cittadini in ordine alla portata e alla funzione di questa legge.

1) “Ereditata Regione senza regole”

Afferma la Presidente della Regione nel video (2) con cui presenta il provvedimento: “abbiamo ereditato una Regione senza regole per quanto riguarda l’installazione di impianti di energie rinnovabili, con moltissime autorizzazioni di fatto fuori controllo”. Con queste dichiarazioni, la Presidente sembra lasciar intendere che il far west delle autorizzazioni sia da imputare all’inerzia di chi l’ha preceduta. Le cose non stanno così. Il procedimento autorizzativo degli impianti è delineato dall’art. 12, d.lgs. 387/2003. Nè la legge sulla “moratoria”, né la successiva legge sulle aree idonee incidono sulla disciplina dei procedimenti. Non è vero, pertanto, che è stata ereditata una situazione di assenza di regole sotto questo profilo. L’enorme proliferazione delle richieste di autorizzazione è da imputare principalmente al Governo Draghi. Tale esecutivo, infatti, ha previsto – col d.lgs. 199/2021 – che le aree idonee fossero individuate dalle Regioni, sulla base di criteri previsti in un decreto ministeriale da emanarsi; ma, al contempo, ha commesso degli errori gravissimi (involontari?): in primis, consentendo che nel frattempo potessero già considerarsi idonee le aree indicate dalla normativa transitoria, permettendo ai procedimenti di andare avanti senza che la Regione potesse intervenire (art. 20, comma 8); in secondo luogo (comma 4), consentendo tempistiche abnormi per l’individuazione delle aree idonee da parte delle Regioni ma impedendo, alle stesse, di procedere in assenza del decreto ministeriale che lo stesso Governo Draghi, pur avendo avuto quasi un anno di tempo, non ha emanato (e che il Governo Meloni ha impiegato un anno e mezzo a pubblicare). Soprattutto, in questa situazione, è stato previsto dal Governo Draghi il divieto di introdurre moratorie (art. 20, comma 6, contro cui, probabilmente, andrà a scontrarsi la leggina della Todde). Sono state le norme del decreto Draghi a legare mani e piedi alla Regione. E sono proprio le norme del decreto Draghi quelle che impediscono alla leggina-Todde di essere credibile. Pertanto, quando la Presidente della Regione afferma di aver ereditato una Regione senza regole, dovrebbe ricordare che questa situazione è stata causata, in larga misura, dal Governo di cui faceva parte. Sarebbe bastato consentire le moratorie per bloccare i procedimenti in corso in attesa delle leggi regionali sulle aree idonee e per risolvere la gran parte dei relativi problemi.

2) “Inerzia della Regione nell’individuazione delle aree idonee”

Molti commentatori, chiaramente a digiuno di rudimenti sul tema, affermano sulle più svariate bacheche social che tale situazione deriverebbe dall’inerzia della precedente amministrazione regionale nell’individuazione delle aree idonee. La realtà è un’altra. E va ricercata, anch’essa, nel decreto Draghi; solito articolo 20, ma stavolta comma 4. Questa norma prevede che le Regioni individuino le zone; ma che possano farlo “entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore” del decreto ministeriale sulle aree idonee ma, soprattutto “conformemente ai principi e criteri previsti dal medesimo”. Pertanto, in assenza del decreto ministeriale, la Regione non avrebbe potuto individuare le aree idonee (comma 4) né prevedere moratorie (comma 6). Mentre i procedimenti sarebbero potuti andare avanti perché lo stesso articolo 20 (comma 8) prevedeva comunque una normativa transitoria. L’inerzia, dunque, va imputata sia al Governo Draghi, che pur avendo imposto l’emanazione del decreto ministeriale entro 180 giorni – decorrenti dal 15 dicembre 2021 – non l’ha predisposto (pur avendo avuto quasi un anno di tempo prima dell’avvicendamento); sia al Governo Meloni, che ha emanato il decreto solo il 21 giugno 2024. Solo ora, con l’avvenuta pubblicazione del DM, la Regione potrà individuare le aree.

3) “La Giunta Todde ha negoziato condizioni vantaggiose”.

Nel medesimo video di presentazione della legge, la Presidente della Regione rilascia una dichiarazione che lascia basiti. Afferma la Todde: “in meno di due mesi, abbiamo negoziato condizioni vantaggiose per la Sardegna. In particolare abbiamo negoziato che le aree idonee vengano definite da una legge regionale e non dalle linee guida del Governo”. In altre parole, la Todde induce a credere che l’attribuzione ad una legge regionale (in luogo delle “linee guida del Governo) del compito di individuare le aree idonee sia il frutto del negoziato intercorso col Ministro Pichetto Fratin; se così fosse, si tratterebbe di uno straordinario risultato diplomatico della Regione. Tale affermazione lascia senza parole. La Regione, infatti, pur bloccata dall’assenza del DM, è sempre stata titolare di questa prerogativa. E lo era sulla base del decreto Draghi n. 199/2021: come chiarito nel punto precedente, l’art. 20 (comma 4) ha previsto fin dal momento della sua entrata in vigore (15 dicembre 2021) che fossero le Regioni ad individuare le aree idonee sulla base dei criteri previsti dal già citato DM. Pertanto, l’attribuzione di questo ruolo alla Regione è stato previsto da tempo con legge statale e su tale aspetto nessun ruolo ha avuto (né poteva avere) il “negoziato” della Giunta Todde. La quale, sul punto, si sta intestando meriti inesistenti: la Regione non ha potuto legiferare perché il Ministro non ha emanato il DM propedeutico, non perché le mancasse la legittimazione.

4) “Autorizzazioni definite dalla Regione”.

Altra incredibile affermazione contenuta nel video di presentazione è quella della Presidente quando afferma: “abbiamo definito che le procedure di autorizzazione vengano definite all’interno del contesto regionale e non più dal Governo”. Sorprende che dichiarazioni di questo peso possano essere rilasciate senza che la stampa o l’opposizione chiarisca, davanti all’opinione pubblica, come stanno realmente le cose. Anche perché, una volta annunciate ed entrate nell’immaginario popolare, queste convinzioni si radicano e sono in grado di incidere sul consenso politico. Come ricordato in precedenza, la competenza sulle autorizzazioni era e rimane disciplinata dall’art. 12, d. 387/2003, ossia una normativa statale vigente ben prima che la Todde si affacciasse sulla scena politica. La Regione era già chiamata al rilascio delle autorizzazioni, con riserva in capo allo Stato di importantissime prerogative (ad esempio in materia di valutazione di impatto ambientale). Il decreto ministeriale Pichetto Fratin non incide, ovviamente su tali competenze (salve alcune questioni di dettaglio). Non è vero, pertanto, che il negoziato col Governo ha consentito la definizione delle procedure all’interno del contesto regionale. La ripartizione era e rimane prevista dalla legge statale, che non è cambiata.

5) “Impianti off-shore conteggiati interamente nella quota sarda”.

La Presidente della Regione considera un risultato soddisfacente l’aver ottenuto che l’energia prodotta dagli impianti off-shore venga conteggiata al 100% nella quota della Sardegna, anziché al 40% come inizialmente previsto. Questo dato è veritiero mentre il correlato entusiasmo è immotivato. Il problema, infatti, è un altro. Il risultato, infatti, sarebbe soddisfacente se le autorizzazioni sugli impianti off-shore venissero affidate alla Regione. Poichè non è così – dato che le stesse vengono rilasciate dal Ministero della Transizione ecologica (art. 12, comma 3, d. 387/2003) – il conteggio integrale della quota incide poco, dato che i 6,2 GW attribuiti alla Sardegna costituiscono una soglia minima; e lo Stato avrà interesse ad autorizzare più impianti possibili senza incontrare alcun limite massimo. Pertanto, quando la Todde esulta per il conteggio al 100% sulla quota della Regione di tali impianti, dimentica di dire che non esistendo un tetto alla produzione c’è il rischio che lo Stato rilasci autorizzazioni per una quota ben più ampia senza che la Regione disponga di validi strumenti per intervenire. Sarebbe stato assai più saggio negoziare la previsione di un limite massimo; ora, invece, sugli impianti off-shore la Sardegna rischia di divenire perlopiù spettatrice di scelte adottate altrove; forse anche oltre Roma.

5) “No avvio dei lavori fino all’individuazione delle aree idonee”.

Afferma la Todde nell’illustrare la legge regionale n. 5/2024: “non si può dare avvio ai lavori fino a quando non avremo definito quello che è l’ambito operativo per quanto riguarda le aree idonee”. In realtà, davanti a questa ferrea convinzione si staglia un punto interrogativo enorme. Sapendo bene che il decreto Draghi vieta “moratorie ovvero sospensioni dei termini dei procedimenti di autorizzazione” (art. 20, comma 6), lo staff legale della Giunta ha scelto la strategia del divieto di “nuovi impianti di produzione e accumulo di energia elettrica da fonti rinnovabili”. In altre parole, come già accaduto per altre Regioni, di cui si è parlato in altri articoli, la Corte Costituzionale, a causa del decreto Draghi, non avrebbe mai tollerato la sospensione dei procedimenti in corso. Resta da capire se considererà conforme al dettato costituzionale il divieto di realizzazione dei lavori già autorizzati. Sulla base dei precedenti ciò appare assai dubbio, dato che la la Corte Costituzionale (ad esempio nella sentenza n. 77/2022) ha richiamato anche il principio di “massima diffusione degli impianti”; secondo la Corte, si è al cospetto di regole “al contempo attuative di direttive dell’Unione Europea” le quali “riflettono anche impegni internazionali volti a favorire l’energia prodotta da fonti rinnovabili”. Vietare la realizzazione di impianti già autorizzati rischia di infrangersi contro tali principi; c’è il rischio che – anche senza un’impugnazione della legge-Todde da parte del Governo – la questione venga sollevata dagli operatori del settore anche davanti al TAR o al Consiglio di Stato. Il divieto, pertanto, dovrà affrontare un percorso assai impervio e non è detto che prima dell’individuazione delle aree idonee non venga disapplicato dai giudici amministrativi o dichiarato incostituzionale dalla Corte.

6) Le colpe della precedente amministrazione regionale.

Si sente affermare spesso, nei commenti, che la precedente amministrazione regionale, rimanendo inerte, avrebbe favorito la speculazione. La principale colpa della Giunta Solinas è stata senz’altro quella di non impugnare il decreto Draghi quantomeno nelle parti che danneggiano maggiormente la Sardegna. In particolare, sarebbe stato opportuno impugnare il comma 6 sul divieto di moratoria per eccesso di delega. La legge delega del Parlamento non imponeva, infatti, al Governo di prevedere un ostacolo generale di così ampia portata. Il Governo Draghi, pertanto, ha ecceduto il mandato conferitogli dal Parlamento e se la Regione fosse stata attenta avrebbe potuto ottenere un successo importante per la Sardegna davanti alla Corte Costituzionale. Va anche detto, tuttavia, che se alla Regione viene imputato di non aver impugnato la legge, cosa dovrebbe dirsi di quei partiti che sostenevano quel Governo e che del varo del decreto Draghi hanno la responsabilità politica?

7) “La Todde non può essere chiamata a rispondere del decreto Draghi”.

Come si può osservare nel preambolo del decreto legislativo n. 199/2021, la deliberazione è del Consiglio dei Ministri. La Todde, in quanto Vice Ministro dello Sviluppo Economico, non poteva, ovviamente, partecipare a tale deliberazione. Ma la responsabilità politica è innegabile. Le deleghe attribuite all’attuale Presidente della Regione con dpr 15 aprile 2021 (3) erano, tra le altre, quelle alle “strategie di pianificazione connesse alle cosiddette Smart Cities” nonché “le iniziative e le attivita’ relative al Comitato interministeriale per la transizione ecologica” (mentre nel Governo Conte II era sottosegretaria con delega all’Energia). Inoltre, il decreto Draghi nel preambolo ricorda chiaramente la sua adozione “di concerto col Ministro dello Sviluppo Economico”. Afferma la Todde in un’intervista rilasciata a Open il 3 maggio 2022 (4): “se già spostassimo la produzione di energia elettrica sulle rinnovabili, allora avremmo grandi risparmi. Investire come dei matti sul rinnovabile ci aiuterebbe a essere molto più resilienti davanti all’impennata del gas”. “E lo stiamo facendo?”, chiede il giornalista. Risposta: “per ora abbiamo lavorato sui primi decreti energia allo scopo di accelerare i percorsi di autorizzazione degli impianti e di liberalizzare la costruzione dei pannelli”. Di fronte a queste parole, appare difficile affermare che la Todde non fosse a conoscenza delle regole apprestate dal decreto. E se anche così fosse, le sarebbe politicamente imputabile il fatto di non aver sorvegliato a dovere mentre si approvavano norme così dannose per l’autonomia della Sardegna.

8) La sorte delle autorizzazioni nel periodo transitorio.

Numerosi cittadini sono convinti del fatto che le autorizzazioni già rilasciate decadranno qualora esse dovessero insistere su aree ricadenti tra quelle non idonee sulla base della legge che verrà emanata dalla Regione. In realtà non funziona così. Si pone, infatti, l’interrogativo del contrasto tra il provvedimento amministrativo ed un parametro di legittimità ancora non esistente al momento dell’emanazione del provvedimento. È il noto problema della “invalidità sopravvenuta del provvedimento amministrativo”. La giurisprudenza del Consiglio di Stato, sul punto, è pacifica nel ritenere che la legittimità dei provvedimenti amministrativi vada valutata con riferimento alla situazione di fatto e di diritto esistente al momento della loro emanazione. Pertanto, non sarebbe invocabile, per contestarne la legittimità, la norma emanata successivamente con la quale il provvedimento dovesse contrastare. Salve, dunque, le autorizzazioni già rilasciate, anche numerosi procedimenti in corso dovranno essere conclusi sulla base della normativa previgente. Impedire la realizzazione di impianti già autorizzati pone, peraltro, l’annoso problema degli indennizzi.

9) “L’attuale amministrazione regionale non poteva fare di più”.

I sostenitori del Campo Largo consderano ingenerose le critiche all’attuale Giunta, in quanto in carica da pochi mesi; e sostengono che non si potesse fare di più. Tale obiezione è errata, perché c’era la possibilità di attuare diversi e ben più efficaci rimedi.

– Innanzitutto, dato che la bozza del DM sulle aree idonee circola da un anno, l’attuale maggioranza si sarebbe dovuta concentrare fin dal 26 febbraio sulla predisposizione di una bozza di legge sulle aree idonee, per farsi trovare pronta all’approvazione (apportando gli inevitabili correttivi sulla base del testo definitivo) un secondo dopo la pubblicazione del DM (5). Nulla di tutto questo è stato fatto; non esiste alcuno schema pubblico; siamo, in altre parole, ancora in una fase embrionale, se non anteriore. Se i mesi precedenti fossero stati utilizzati fruttuosamente in tal senso, accettando i contributi di tutti, anziché preoccuparsi delle elezioni abruzzesi o della nomina del super staff, ora la Sardegna avrebbe potuto approvare la legge e, a quel punto, varare anche una moratoria vera ed efficace, non collidente con normativa statale e prescrizioni della Consulta.

– La legge-Todde avrebbe potuto prevedere un congruo tetto massimo di produzione. Specie per quanto riguarda l’off-shore, sulla base di quanto detto sopra. Difficilmente la Corte Costituzionale si sarebbe potuta opporre, perché una volta ripartita tra le regioni la quota richiesta dall’UE, lo Stato non avrebbe potuto pretendere una produzione maggiore. Questa possibilità non è stata sfruttata.

– La Regione avrebbe dovuto negoziare una quota più bassa rispetto ai 6,2 GW che le sono stati assegnati. Ha, invece, accettato pedissequamente la quota (minima, peraltro) determinata dal Governo.

– Nel negoziato col Ministro, la Regione Sardegna avrebbe dovuto pretendere una disciplina del periodo transitorio. Invece, la norma transitoria inizialmente prevista dalla bozza (l’articolo 10) è stata espunta. Ora non è stabilito quale normativa sarà applicabile durante il periodo interlocutorio: tutto viene rimesso ai giudici amministrativi, esponendo la Regione ad un contenzioso del tutto evitabile.

– La Presidente avrebbe dovuto pretendere una diversa formulazione dell’art. 8 del DM, che impone alla Regione di vigilare al fine di assicurare l’ottemperanza alle autorizzazioni già rilasciate. La Regione, pertanto, si trova nella ambigua e scomodissima posizione di soggetto che dovrebbe favorire la realizzazione degli impianti già autorizzati e che, al contempo, la sta vietando. Questa norma viene sottovalutata ma potrebbe costituire uno dei principali ostacoli alla tenuta della legge-Todde davanti ai giudici.

10) La “kolonizzazione”.

Molti commentatori si lamentano per il fatto che la Sardegna continuerebbe incolpevolmente scelte adottate all’esterno. In realtà, i sardi hanno grosse responsabilità nella causazione del male di cui si lamentano. Anche stavolta, come sempre, hanno tributato un plebiscito ai partiti italiani, senza ascoltare gli appelli di chi questi ammonimenti li ha resi noti in lungo e in largo durante la campagna elettorale. Senza fidarsi delle forze autoctone né concedere loro almeno una possibilità. Senza muovere un dito affinché tali forze abbiano almeno qualche rappresentante in Consiglio, diritto negato da una legge elettorale inaccettabile. Non hanno tenuto conto degli avvertimenti dei Comitati e delle associazioni, relegandoli al ruolo di “quelli che si oppongono a tutto”. E non sono forse sardi quei cittadini che vendono i terreni alle multinazionali, consentendo la devastazione dei propri territori in cambio di corrispettivi irrisori rispetto al danno causato alla propria comunità? Molti nostri conterranei hanno la grave colpa – perché l’indifferenza è una colpa e non un’attenuante – di non essersi informati adeguatamente e di aver creduto in troppe occasioni alla propaganda. Anche leggere questo lungo articolo è impegnativo, e a chi è arrivato fin qui vada un ringraziamento sincero. Ma la quasi totalità dei nostri cittadini, rispetto a letture ostiche, preferirà senz’altro i video di un minuto e mezzo su facebook, sottotitolati, che raccontano una realtà edulcorata, artificiosa, e che stanno contribuendo a portarci ad una situazione di non ritorno; la quale si sarebbe rivelata assai differente eleggendo rappresentanti non tenuti ad assecondare le direttive dei vertici di partito romani; gli stessi che vengono in Sardegna in campagna elettorale a dirci quanto è buona la bottarga o a raccomandarci di votare per i loro fedelissimi anziché per i partiti che hanno a cuore solo la nostra isola; ma che del decreto Draghi – come di tante altre pastoie imposte nel tempo alla Sardegna – sono stati gli artefici. Col mandato dei sardi che continuano a farsi gettare fumo negli occhi applaudendo chi lo fa.

Antonio Piras

NOTE

(1) Legge n. 5/2024

https://buras.regione.sardegna.it/custom/frontend/viewInsertion.xhtml?insertionId=6980e9f8-eb77-41b7-92c7-9090c2e307bb

(2) Link del video di presentazione della legge regionale n. 5/2024

https://www.facebook.com/watch/?v=1498235310787125

(3) dpr 15 aprile 2021

https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2021/05/04/21A02770/sg

(4) Intervista su Open del 3 maggio 2022

https://www.open.online/2022/05/03/crisi-energetica-intervista-alessandra-todde/

(5) Decreto Ministeriale 21 giugno 2024

https://www.gazzettaufficiale.it/atto/vediMenuHTML?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2024-07-02&atto.codiceRedazionale=24A03360&tipoSerie=serie_generale&tipoVigenza=originario