Eolico in Sardegna e maldestri tentativi di scaricabarile

L’evoluzione della campagna elettorale inizia a far emergere le evidenti responsabilità politiche dei Governi nazionali – dei quali anche l’on. Todde ha fatto parte – nell’assunzione di scelte in materia energetica che stanno suscitando rilevanti preoccupazioni per la Sardegna, la quale paventa il rischio di vedersi imporre l’ennesima servitù.

Se l’azione degli Esecutivi Conte e Draghi, tutti sostenuti dai 5 Stelle nella scorsa legislatura, fossero state benefiche per l’Isola, gli esponenti del Campo Largo avrebbero cercato in tutti i modi di intestarsene la paternità. È, invece, palese il maldestro tentativo di scaricare su altri responsabilità politiche lampanti, a dimostrazione che quelle scelte non possono essere certamente considerate positive per la nostra terra.

Ciò è accaduto, in primis, in occasione del dibattito organizzato dalla Confcommercio, durante il quale la candidata del Campo Largo è riuscita, incredibilmente, a sostenere che “il decreto Draghi non esiste”. Salvo, poi, vedersi replicare che di decreti Draghi in materia ne esistono ben due: il d.lgs 199/2021 e il Dpcm 29 marzo 2022, entrambi assai impattanti per la Sardegna.

Preso atto che il Decreto Draghi esiste eccome (e anzi non è l’unico), l’on. Todde ha pensato bene – ma con esito per lei controproducente – di dirottare ingiustamente su altri la responsabilità. È accaduto in occasione del confronto presso la Coldiretti, nel corso del quale ha addirittura affermato che quel decreto sarebbe stato votato dai parlamentari della Coalizione Sarda Cucca e Mura mentre lei, in quanto viceministro tecnico, non avrebbe potuto votarlo. Qual è la verità?

In generale, i decreti legislativi (quale il d. 199/2021 di cui si discorre) sono deliberati dal Consiglio dei Ministri, di cui nel 2021 non facevano certo parte i parlamentari Cucca e Mura. Pertanto, si può innanzitutto concludere che la Todde ha rilasciato una dichiarazione non veritiera nel sostenere che Cucca e Mura avessero votato il decreto. E ciò è, di per sé, grave.

Basterebbe, però, leggere il preambolo del decreto per verificare che esso è stato approvato sentito, tra gli altri, il Ministro dello Sviluppo Economico. Ossia, il leghista Giorgetti. E chi era il Vice Ministro dello Sviluppo Economico in quel momento? La risposta è semplice: l’on. Todde. Pertanto, se è vero che i parlamentari Cucca e Mura sono stati inspiegabilmente accusati dalla stessa di aver votato il decreto pur non avendolo fatto, è altrettanto oggettivo che il dicastero di cui la Todde era il numero due è stato sentito prima di adottare il decreto; c’era, dunque, la possibilità di richiedere condizioni di maggior favore per la Sardegna, quantomeno in termini di maggiore coinvolgimento della Regione dell’assunzione delle decisioni; ma ciò non è accaduto.

Constatata l’impossibilità di continuare a percorrere questa fallace argomentazione, qualche candidato del Campo Largo ha pensato bene di andare a ricercare le responsabilità a monte: ossia, nell’approvazione della norma di delega (art. 5, l. 53/2021) e, addirittura, nella Direttiva Europea n. 2001/2018. Credendo, in questo modo, di poter chiamare in causa i parlamentari Cucca e Mura e lo stesso Renato Soru, europarlamentare al momento dell’approvazione della direttiva.

Tuttavia, improvvisarsi giuristi non è mai saggio. Il risultato è stato, infatti, quello di peggiorare la cattiva figura rimediata dalla leader. Sarebbe bastata, infatti, una lettura anche veloce della legge n. 53/2021 e della direttiva per evitare di citare norme del tutto inconferenti.

L’art. 5 della legge delega, da cui è scaturito il decreto Draghi, stabilisce, infatti, criteri assolutamente di massima, privi di alcun impatto negativo per la Sardegna per il semplice motivo che demandano all’Esecutivo il compito di specificare la disciplina di dettaglio. Le previsioni dannose per l’Isola sono quelle elaborate dal Governo con gli artt. 20 e seguenti del decreto (e con i decreti ministeriali ai quali dà la stura); mentre la delega, di per sé, non contiene alcuna misura impattante. È stata l’attuazione di Draghi – col decreto che ha lasciato mano libera ai governi nazionali – a rivelarsi disastrosa per una Regione come la nostra.

Si avrà modo, in seguito, di specificare meglio questi particolari; in questa sede, è sufficiente rilevare come la responsabilità politica di quanto accaduto di negativo sia da imputare interamente al Governo Draghi, che ha deliberato sentendo il Ministero di cui faceva parte anche la Todde, e non ai parlamentari che hanno approvato la delega.

Ancora meno attinente si rivela il richiamo alla Direttiva europea, effettuato da qualcuno convinto di aver prodotto uno scoop ma che ha dimostrato, in realtà, di citare norme non pertinenti. Come ricordato nel precedente articolo, la Direttiva n. 2001/18 prevede esclusivamente un limite collettivo, per i Paesi europei, di produzione da eolico nella misura del 32%. Fatto di per sé positivo. La Direttiva, com’è ovvio, nulla prevede in ordine alle modalità con cui gli Stati recepiscono tali indicazioni. Nel nostro caso, pertanto, il problema non è costituito dalla soglia di energia rinnovabile da produrre; ma da quanta voce in capitolo abbiano i sardi nel decidere dove, come e a che prezzo contribuire con la propria quota. Ebbene, né la Direttiva né la legge delega costituiscono un ostacolo in merito; è stato solo e soltanto il Decreto Draghi (col successivo contributo dei decreti ministeriali di attuazione) ad aver previsto meccanismi i quali, di fatto, costringono la Regione Sardegna a vedersi sostanzialmente imporre quanto, dove (il DM detta i criteri che la Regione deve seguire per individuare le aree idonee) e come produrre.

Questo spiega il disperato tentativo, nell’area del Campo Largo, di nascondere evidenti responsabilità politiche che la campagna elettorale, per fortuna, sta portando alla luce.

Antonio Piras