Il comunicato stampa della Presidente della Regione, seguito alla nuova bozza di decreto ministeriale sulle aree idonee, merita diverse precisazioni.
Afferma la Presidente sul sito istituzionale: “Abbiamo combattuto per ottenere un decreto sulle aree idonee che rispondesse alle prerogative della Sardegna”.
Non è chiaro dove ravvisi questa rispondenza.
La soglia spettante alla nostra Regione è stata stabilita, di fatto, dal Governo, grazie alla possibilità attribuitagli dal solito decreto Draghi (art. 20, c. 1). Non ci è andata benissimo: una quota superiore rispetto ai 6,2 GW attribuiti alla Sardegna è toccata unicamente a Sicilia, Lombardia, Puglia e Veneto (mentre l’Emilia-Romagna si assesta su una quota pressochè identica), regioni con una popolazione esponenzialmente superiore a quella sarda nonché, alcune di esse, tra le più ricche d’Italia e quindi con un fabbisogno energetico ben maggiore del nostro.
La nuova bozza, poi, non prevede più una normativa transitoria in ordine alla disciplina applicabile ai procedimenti in itinere. Qualcuno, ingenuamente, ha pensato che l’espunzione di tale norma comporti che tali procedimenti decadano. Niente di tutto questo. Tutt’al più, in base al principio tempus regit actum, potrà accadere – in virtù dell’orientamento della giurisprudenza amministrativa – che nell’emanazione dei provvedimenti autorizzativi finali si tenga conto della legge sulle aree idonee (anche per i procedimenti iniziati in precedenza) quando questa sarà approvata. Ma sussiste un problema (oltre al fatto che affidarsi interamente alle oscillazioni della giurisprudenza è assai rischioso): i procedimenti, al momento, non sono sospesi. Né, del resto, sarebbero tollerate sospensioni (come la Corte Costituzionale ha chiarito molto bene). Del resto, lo stesso ddl sulla famosa “moratoria” – il quale, ricordiamolo, al momento non produce alcun effetto giuridico, costituendo una semplice proposta che se anche approvata verrebbe immediatamente impugnata – non interrompe i procedimenti autorizzativi ma soltanto il divieto di realizzazione di nuovi impianti, anche se già autorizzati.
Ciò comporta che poiché i procedimenti andranno avanti e la legge sulle aree idonee ancora non c’è, è assai probabile che la normativa applicabile a numerose richieste già inoltrate rimanga quella in vigore in questo momento. E che fiocchino le autorizzazioni, creando grossi problemi alla Regione se dovesse, successivamente, impedirne la realizzazione.
Se l’attuale maggioranza fosse stata previdente, avrebbe potuto attivarsi in questi mesi per farsi trovare pronta sulla base della bozza che circola da un anno, e – apportando qualche correttivo sulla base del testo finale – approvare la legge sulle aree idonee il giorno successivo all’entrata in vigore del decreto ministeriale. Non è invece chiaro, al momento, se esista una bozza da cui partire. Perlomeno, non se ne è mai parlato nel dibattito pubblico. Sarebbe interessante, invece, capire che intenzioni ci siano in merito e quali territori verranno penalizzati.
Urge, ancora, chiarire diversi altri concetti espressi dalla Presidente della Regione. Afferma la Todde: “Abbiamo ottenuto che sia la Sardegna a definire come fare le autorizzazioni e come dislocare gli impianti eolici e fotovoltaici nel nostro territorio per ottemperare alla quota di 6,2 GW, senza subire le decisioni di altri e del Governo nazionale”; e aggiunge: “la Sardegna infine potrà decidere quale dovrà essere il suo destino energetico: non ci saranno più autorizzazioni che passeranno sopra la nostra testa. Qualsiasi autorizzazione verrà decisa e data dagli uffici della Regione, chiaramente interpellando i Comuni, i territori e i cittadini”.
La realtà non è così semplice. Non è la Sardegna a “definire come fare le autorizzazioni”. Ma una norma statale: l’art. 12 del d.lgs. n. 387/2003. Il quale stabilisce competenze, tempi e modi in ordine al rilascio delle medesime. Il decreto ministeriale, con i suoi 9 articoli, non incide in alcun modo sul procedimento autorizzatorio ma solo su obiettivi di produzione e criteri per l’individuazione delle aree (sulla base della normativa primaria).
E se è vero che la disciplina statale del 2003 (e successive modifiche) attribuisce alla Regione il compito di autorizzare gli impianti, ciò avviene al termine di un procedimento unico nel quale riveste fondamentale importanza il ruolo di diverse entità statali: ad esempio, per gli impianti eolici di potenza superiore a 30 MW (per capirci: soglia molto inferiore rispetto a quella dell’impianto di Nulvi-Ploaghe “Saccargia”) e per quelli fotovoltaici superiori a 10 MW, la competenza sulla Valutazione di impatto ambientale spetta allo Stato (allegato II parte II d.lgs. 152/2006). Ancora: il Ministero della Cultura partecipa al procedimento con riferimento alle aree sottoposte a tutela ai sensi del Codice dei Beni Culturali. In caso di contrasto tra Commissione VIA e MiC, la composizione degli interessi spetta al Governo. Il quale, come è già accaduto da parte del Governo Draghi, ad esempio, con Saccargia, sta mostrando di ritenere prevalente la produzione da eolico rispetto ai valori paesaggistici; nonostante l’opposizione della Regione. Ciò significa che non è vero che “non subiremo le decisioni di altri”, né che “non ci saranno più autorizzazioni che passeranno sopra la nostra testa”. Le norme sul procedimento non sono cambiate! Semplicemente, ora spetterà alla Regione attivarsi entro 180 giorni per individuare le aree idonee integrando così la normativa transitoria attualmente vigente. Ma la legge sulle aree idonee, come confermano l’art. 20 del decreto Draghi e l’art. 7 della bozza di decreto ministeriale, viene emanata sulla base di criteri generali previsti dallo Stato. La Regione non ha assolutamente il potere di decidere in libertà. E si porrà un grosso problema quando la quota minima, com’è prevedibile, verrà innalzata a livello europeo e statale.
Un’ultima precisazione sugli impianti off-shore (ossia, quelli in mare). Afferma la Presidente: “Abbiamo inoltre ottenuto il riconoscimento del fatto che qualsiasi campo eolico offshore venga posto al largo delle coste della nostra isola, incida sulla Sardegna in quanto ne impatta l’economia, la pesca, il turismo. L’impegno della Sardegna verrà quindi considerato interamente”.
In altre parole, la produzione ricavata da questi impianti verrà conteggiata al 100% nella quota dei 6,2 GW spettante alla Sardegna. Ma sorge, anche qui, un grosso problema. Anzi, enorme. L’art. 12 del d.lgs. 387/2003 prevede che “per gli impianti off-shore, incluse le opere per la connessione alla rete, l’autorizzazione è rilasciata dal Ministero della transizione ecologica di concerto il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili e sentito, per gli aspetti legati all’attività di pesca marittima, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, nell’ambito del provvedimento adottato a seguito del procedimento unico di cui al comma 4, comprensivo del rilascio della concessione d’uso del demanio marittimo”. Ciò significa che se anche questi impianti off-shore verranno conteggiati nella soglia prevista dal DM, la competenza sulla loro autorizzazione spetta al Governo nazionale. E, non essendoci un tetto massimo di produzione, come abbiamo già rilevato la scorsa volta, non è detto che ci vadano leggeri con la tutela delle nostre coste. Anzi: se questa è la risposta alla speculazione, forse è il caso di iniziare a preoccuparsi seriamente.
Antonio Piras