Il segretario regionale del PD, Piero Comandini, rilascia oggi una sconcertante dichiarazione ufficiale giustificabile unicamente con la disperazione per la sconfitta imminente: “dispiace che un nostro ex segretario regionale, ex europarlamentare, ex Presidente della Regione, dopo vent’anni sia diventato la decima lista di Truzzu. Soru è uguale a Truzzu. È una componente del centrodestra, ha una grossa responsabilità. In tutte le sue uscite pubbliche, il suo avversario non è mai il candidato del centrodestra, ma Alessandra Todde . Non possiamo accettare una campagna elettorale fatta solo per far perdere il Pd. Noi siamo la vera alternativa al centrodestra”.
Comandini, tra gli artefici della spaccatura del centrosinistra sardo, inizia a mettere le mani avanti, conscio dell’epocale risultato negativo che attende il suo partito. Ma lo fa avvalendosi di un’analisi completamente errata e di affermazioni che non trovano riscontro nella realtà. Esaminiamole.
Sostenere che nelle uscite pubbliche di Soru l’avversario non è mai il candidato del centrodestra ma la Todde è smentito da fatti accertabili. Fin dall’inizio della campagna elettorale, il leader della Coalizione Sarda ha attaccato aspramente la disastrosa Giunta di centrodestra, mettendo in luce l’incapacità di spesa e la gestione a dir poco inadeguata della Regione, specie per quanto riguarda sanità, trasporti e istruzione. Tutti i video degli incontri di Soru sono disponibili su internet, a differenza di quelli della Todde. Comandini evita di ricordare, in realtà, che è proprio la candidata grillina ad aver citato a sproposito Soru in più occasioni: ad esempio, rivelando ai giornalisti l’incontro riservato che era stato fissato a casa dello sfidante; svelando un colloquio di lavoro – ossia, un fatto totalmente privato irrilevante nella contesa – mai reso pubblico da quest’ultimo; invitando a “tornare a casa” uno che il PD l’aveva addirittura fondato, mentre i 5 Stelle, che ora si atteggiano ad improbabili comproprietari dell’abitazione, fino a poco tempo prima consideravano quel partito come il nemico da combattere.
Sostiene Comandini di non poter accettare “una campagna elettorale fatta solo per far perdere il PD”. Com’è possibile che un partito che si definisce “democratico” non accetti che anche altre forze emergenti, stanche di rimanere inascoltate, possano presentarsi alle elezioni con una propria proposta? È forse convinto di detenere una sorta di esclusiva su chi può prendere parte alla politica sarda? Qualcuno impedisce agli elettori di votare per la Todde, se lo riterranno opportuno? Come mai ha rinunciato alle primarie – ossia la sede naturale di questo dibattito – e ha fatto ricadere la scelta del candidato su un’esponente dei 5 Stelle nell’ambito di un’alleanza completamente cannibalizzata da Giuseppe Conte?
Che la verità sia questa è dimostrato dalle recentissime parole di Elly Schlein, la quale, rivolgendosi all’avvocato del popolo, afferma: “non siamo disponibili ad accettare costanti mistificazioni e attacchi che mirano al bersaglio sbagliato” e rincara: “se qualcuno pensa di attaccare o insultare il PD, invece del Governo, sta sbagliando strada”.
In altre parole: mentre Comandini dipinge lo schieramento della Todde come l’unica alternativa alla destra, la segretaria nazionale del suo stesso partito afferma che i 5 Stelle, che la Todde rappresenta nientemeno che in Parlamento, alternativi alla destra non lo sono poi così tanto. E allora, come può essere attendibile un’alleanza basata su scelte imposte a un PD ormai agonizzante da un alleato precario che nel 2022 ha spianato la strada a Giorgia Meloni e che alterna avvicinamenti e allontanamenti con una frequenza preoccupante? Stessa inaffidibilità che l’ha portato a criticare l’autonomia differenziata approvata nei giorni scorsi dal centrodestra scordandosi di averla considerata “questione prioritaria” al punto 20 del programma del Governo Gialloverde appena pochi anni fa .
In assenza di una linea programmatica chiara, come del resto è inevitabile in una coalizione composta da dieci liste in cui è presente tutto e il contrario di tutto, anche illustri reduci dell’esperienza Solinas, Comandini sceglie la linea della polarizzazione dello scontro tra Todde e Truzzu, convinto che questo servirà ad attirare il c.d. voto utile. Ma utile per chi? Non certo per chi vuole un cambiamento. Un voto semmai utile alla conservazione della palude che era diventata la politica sarda. La vera novità di queste elezioni è un’altra: e cioè che per la prima volta esiste un polo sardo in grado di vincere le elezioni la cui controparte sono sia il centrodestra che ciò che resta del campo largo; ossia, due facce della stessa medaglia viziate dal medesimo peccato originale, e cioè il fatto di essere interamente dipendenti dalle scelte di Giorgia Meloni e di Giuseppe Conte; non pervenuta, invece, la Schlein come del resto il PD.
Quando Comandini afferma di essere la vera altrnativa al centrodestra, scorda che le liste del suo schieramento sono composte in gran parte da reduci dell’ultima legislatura; ebbene, qualcuno ha memoria di sussulti di opposizione dura ai disastri di Solinas? Si è intravisto solamente un contrasto debole e scialbo che i sardi non hanno notato. A differenza dell’irruzione di Soru e della sua Coalizione sulla scena del dibattito. Solo in quel momento l’interesse si è destato dal torpore, per adesione o per contrapposizione.
La reazione scomposta di Comandini e dei suoi alleati dimostra che è proprio quella di Soru l’alternativa che temono veramente. Non a caso, la Todde ha proposto un confronto pubblico a Truzzu dopo aver evitato più volte il confronto propostole da Soru, definendolo “una corrida con le pentole”. Come mai non ha risposto sul tema del confronto all’americana? La democrazia non può funzionare parlando solo ad un pubblico amico o con dei post su facebook. Chi si candida deve parlare a tutti, con domande aperte, perché dovrà amministrare per tutti. E deve accettare il confronto duro (ovviamente, leale). Del resto, però, la continua fuga di Truzzu e Todde dal confronto vero rispecchia le politiche dei rispettivi partiti nazionali, in cui il capo decide per gli altri: sono espressione di questa concezione la riforma sul premierato della Meloni e lo Statuto 5S in cui il capo è l’unico titolato a decidere.
Ecco perché le affermazioni odierne di Comandini possono fare presa solo su quei pochi sardi che non hanno ancora colto pienamente la situazione contingente. E cioè che l’unica, vera, contrapposizione in campo è quella tra una forza che ha pensieri solo per la Sardegna; e altre due la cui linea viene decisa da leader nazionali i quali considerano la Sardegna una semplice pedina per obiettivi (per loro) più importanti. E che hanno scelto dei candidati che non avranno alcun potere contrattuale di fronte alle scelte dei governi di Roma.
Gentile Segretario Comandini, fate finta di non accorgervi che quelli speculari al centrodestra siete esattamente voi. Se, invece, non ve ne foste accorti per davvero, il problema sarebbe ancora più grave.
Antonio Piras