A seguito della presentazione di una proposta di legge popolare, si è finalmente rianimato il dibattito su una delle questioni più importanti e sottovalutate della politica regionale: ossia, le preoccupanti conseguenze scaturenti da una legge elettorale che non garantisce la rappresentatività delle minoranze.
Come riferisce l’Unione Sarda di ieri, a partire dal 27 febbraio saranno disponibili, in tutti i Comuni sardi, i moduli per la sottoscrizione di una proposta di legge – sostenuta dalla rete “Sardegna Iniziativa Popolare” – che “superi il presidenzialismo fallimentare, affermi il sistema proporzionale puro per l’elezione del Consiglio Regionale e introduca lo strumento della sfiducia costruttiva quale elemento di stabilizzazione”.
È noto che nel 2024 (come già accaduto più volte in passato), una larga fetta di elettori è rimasta priva di rappresentanza in Consiglio Regionale. Tuttavia c’è da chiedersi se la soluzione proposta (proporzionale puro, superamento del presidenzialismo e sfiducia costruttiva) consenta di superare queste problematiche o se, addirittura, non ne generi di assai più nefaste.
Una premessa: la madre di tutte le riforme sarebbe quella, da inserire in Costituzione, in base alla quale qualsiasi legge elettorale entri in vigore non prima che siano trascorsi 5 anni dalla sua approvazione. Questo strumento consentirebbe di evitare – come accade, peraltro spesso, solo in Italia – che maggioranze date per sfavorite nei sondaggi modifichino la legge elettorale nei mesi terminali delle legislature per limitare i danni derivanti dal calo dei consensi e penalizzare gli avversari. Senza questo paletto, qualsiasi riforma sarà viziata da opportunismo ed espone le elezioni a pericolosi inquinamenti da parte delle maggioranze sulla base dei sondaggi del momento.
Veniamo, tuttavia, all’analisi della proposta in campo.
Questa tematica è stata affrontata approfonditamente – come ricorderà chi partecipò a quel dibattito – ai tempi della legge Statutaria del 2007, che sfociò in un referendum dall’esito negativo. La scelta tra un sistema presidenziale ed uno proporzionale determina necessariamente una predilezione per la governabilità da un lato e per la rappresentatività dall’altro. Una legge elettorale dovrebbe garantire quanto più possibile entrambe, nel non semplice sforzo di contemperare le due esigenze.
Tuttavia, sarebbe opportuno distinguere il dibattito riguardante la legge per l’elezione del Parlamento nazionale e quello concernente il Consiglio regionale.
Il Parlamento può modificare la Costituzione, incidere sul diritto penale, determinare le scelte di politica internazionale e belliche, modificare le norme processuali (e si potrebbe continuare a lungo). La stessa Costituzione è stata pensata immaginando un sistema elettorale proporzionale (ed è stato un grave errore dei costituenti, per questa ragione, non inserire delle norme di indirizzo sulla legge elettorale). Il passaggio da un sistema proporzionale ad uno maggioritario ha fatto sì che le maggioranze qualificate previste, ad esempio, per l’elezione del Presidente della Repubblica o per le modifiche costituzionali diventassero facilmente raggiungibili per coalizioni di governo che non sono maggioranze nel Paese ma lo sono diventate esclusivamente in virtù di premi di maggioranza o si sistemi uninominali per l’elezione dei singoli parlamentari che consentono di ottenere ripartizioni parlamentari completamente avulse dalle composizioni del corpo elettorale. In altre parole: con i sistemi uninominali, una coalizione che rappresenta il 20% degli elettori potrebbe, teoricamente, conquistare tutti i seggi.
Pertanto, per le elezioni politiche nazionali, il sistema proporzionale si rivela senz’altro più rispettoso del principio di rappresentatività, tutela meglio dal rischio di “dittature delle minoranze”, si inquadra con l’architettura costituzionale complessiva. Passare da un sistema proporzionale ad uno maggioritario a Costituzione invariata ha consentito di aggirare quest’ultima ed eludere i contrappesi da essa contemplati semplicemente passando attraverso la modifica di una legge ordinaria.
Vale lo stesso discorso anche per il Consiglio Regionale della Sardegna?
La risposta è negativa.
Il Consiglio Regionale dispone di competenze ovviamente importanti ma assai meno impattanti di quelle del Parlamento. Per questa ragione, e anche alla luce delle esperienze storiche precedenti (basti pensare alle continue crisi di Giunta dei tempi di Palomba o alla legislatura della Presidenza Pili, che vinse le elezioni ma fu messo in un angolo dal Consiglio) è importante che venga garantita la rappresentatività delle minoranze, ora assente, ma anche che si assicuri una certa stabilità di governo alla maggioranza che vince le elezioni, pena la paralisi delle politiche. Ed è anche importante che chi fallisce perda la possibilità di amministrare, lasciando spazio ad altri.
Nel caso della legge elettorale sarda, il problema non è da rinvenirsi in quello individuato dall’iniziativa che sta avviando la raccolta delle firme. Se è vero, infatti, che un sistema proporzionale puro potrebbe garantire un diritto di tribuna alle formazioni minori, dall’altro lato l’eliminazione dell’elezione diretta del Presidente della Regione rischia di trasformare il Consiglio Regionale, come nel passato, in un pantano, favorendo la formazione di statiche coalizioni consiliari, di fatto immobili e perlopiù di centro, che avrebbero la garanzia di stare al governo sostanzialmente a tempo indeterminato rendendo le elezioni un momento privo di sostanziale dialettica; le minoranze, di fatto, non potrebbero incidere e le maggioranze starebbero in bilico, frustrate da continui ricatti, magari di uno o due consiglieri regionali (ricordate ciò che accadde negli anni ‘90 e 2000?) che sarebbero sicuri di conservare il proprio seggio fino alla fine della legislatura pur causando la caduta della Giunta e dando vita ad un gioco al rialzo che paralizzerebbe l’azione politica della maggioranza.
Lo strumento della sfiducia costruttiva non eviterebbe questa eventualità.
La soluzione, invece, va individuata nel miglioramento della legge elettorale attuale, la quale presenta delle distorsioni francamente inaccettabili ma anche una base che può essere migliorata. Pertanto, facendo salve l’elezione diretta del Presidente della Regione e la previsione del premio di maggioranza per la coalizione vincitrice, è necessario intervenire al più presto su altri punti.
1) Per garantire la rappresentatività delle minoranze, è necessario ridurre sensibilmente (se non eliminare) i quorum previsti per le liste non coalizzate (attualmente 5%) o per le coalizioni (attualmente 10%) che si presentano da sole. La ripartizione dei seggi avviene, in ogni caso, su base proporzionale anche attualmente. Pertanto, anche in virtù della legge elettorale attuale una lista non coalizzata potrebbe partecipare alla ripartizione dei seggi qualora venissero previste soglie d’accesso – se non eliminate del tutto – ridotte al minimo. Quelle vigenti si rivelano proibitive, ed altresì viziate da un fumus di incostituzionalità.
2) Una delle principali distorsioni dell’attuale legge elettorale sta nel fatto che il candidato presidente che arriva terzo, anche col 9,99% dei voti, non accede al Consiglio Regionale. Ciò ha impedito l’elezione di Renato Soru nel 2024, di Francesco Desogus nel 2019, di Michela Murgia nel 2014, che avevano ottenuto consensi vicini al 10% (Desogus addirittura superiori). In altre parole, resta fuori un candidato presidente che ottiene 60.000 voti mentre vengono eletti consiglieri regionali con percentuali da assemblea di condominio i quali, obiettivamente, sono in grado di rappresentare esclusivamente una piccola cerchia di amici. Il problema sarebbe facilmente risolvibile consentendo al candidato presidente di essere inserito anche nelle singole liste. In questo modo, se la lista supera la soglia, il candidato presidente – che a quel punto diventerebbe anche candidato consigliere – potrebbe accedere al Consiglio sulla base delle preferenze personali ottenute come candidato consigliere (anziché come candidato presidente) qualora la lista raggiunga un numero di voti sufficiente per partecipare alla ripartizione dei seggi.
3) Intervenire sul numero dei candidati. Ciò che accade, ultimamente, alle elezioni regionali è grottesco: nel 2024, si sono presentati circa 1400 candidati per 60 seggi. L’assenza di alcun limite consente alle coalizioni maggiori di inserire un largo numero di liste civetta prive di alcuna visione politica che consentono, tra amici e parenti dei candidati, di portare acqua al mulino, rendendo ancora più difficile il compito per le liste minori. Pertanto, per salvaguardare la possibilità per i partiti o per le liste di partecipare alle coalizioni essendo comunque riconoscibili, dovrebbe essere previsto che il numero complessivo dei candidati che partecipano alla coalizione col simbolo della lista non possa superare, in ogni caso, quello dei potenziali eleggibili. Questa è una delle storture più importanti e sottovalutate della legge elettorale vigente; uno degli aspetti che meritano di essere valutati più approfonditamente.
Queste semplici modifiche consentirebbero, allo stesso tempo:
– di conservare l’elezione diretta del Presidente della Regione, evitando continue crisi di Giunta e ricatti da parte di consiglieri il cui voto diverrebbe decisivo per ogni provvedimento; e consentendo alla coalizione vincitrice di disporre del tempo necessario per attuare il programma ma anche di dare un volto alla figura di punta della Coalizione, che possa rispondere ai cittadini qualora questo non venisse attuato;
– di garantire la rappresentatività delle minoranze, attualmente negata;
– di scongiurare gli attuali carrozzoni composti da miriadi di candidati inseriti nelle liste solo per fare numero (e che nel 2024 si sono rivelati decisivi per la vittoria della Todde), consentendo alle coalizioni minori di competere alla pari;
– di consentire l’alternanza, che in un sistema chiuso come quello regionale è l’unico modo per evitare l’incancrenimento non solo della politica ma anche della macchina amministrativa regionale.
Tornare ad un sistema proporzionale puro non solo non consentirebbe di ottenere questi benefici; ma rischia, addirittura, di peggiorare la già asfittica situazione attuale.
Nè avrebbe permesso, diversamente da quanto si sostiene, di porre in discussione, ad esempio, una proposta di legge come la Pratobello 2024: non c’è alcuna connessione tra il sistema elettorale e la scelta che è stata attuata dalla maggioranza di ignorare completamente 210.000 firme, dato che ciò sarebbe potuto accadere (forse addirittura con maggiore probabilità) anche con un Consiglio Regionale eletto proporzionalmente.
Discutere sui temi proposti sarebbe già un grosso passo in avanti. Ritornare ai tempi del proporzionale puro e dell’elezione del Presidente della Regione da parte del Consiglio Regionale anziché dei cittadini, invece, rappresenterebbe un ritorno ad una palude di cui francamente non abbiamo nostalgia.
PS: una domanda finale: chiedetevi che composizione avrebbe avuto la maggioranza in Consiglio Regionale qualora vigesse un sistema proporzionale puro come quello proposto dai promotori. Davvero si vorrebbe questo?
Antonio Piras