È in corso, in questi giorni, la raccolta delle sottoscrizioni finalizzata alla presentazione di un progetto di legge di iniziativa popolare: la c.d. “Legge Pratobello”, sostenuta dai Comitati che giustamente si oppongono alla speculazione eolica e fotovoltaica in atto, della quale tante volte si è parlato in questa sede.
C’è da chiedersi, tuttavia, se questa proposta – qualora venisse approvata – sia da considerare realmente efficace o se sia preferibile seguire un percorso meno impervio.
La proposta “Pratobello” punta tutte le sue carte sulla competenza primaria della Regione Sardegna in materia di Edilizia ed Urbanistica, prevista dall’art. 3 dello Statuto. Alla luce del rischio di una “massiva devastazione” del territorio sardo, essa invoca l’introduzione di una normativa urbanistica con carattere d’urgenza la quale, nel sottoporre a pianificazione una serie di aree previste dall’art. 2 della medesima, prevede al contempo il divieto di insediamento in tali aree – tra gli altri – di impianti fotovoltaici industriali a terra nonché la costruzione e l’installazione di impianti eolici terrestri (art. 3).
La proposta “Pratobello”, una volta raggiunte le diecimila firme richieste, andrebbe calendarizzata dal Consiglio Regionale e, ovviamente, approvata dal medesimo organo legislativo. Anche qualora ciò – improbabilmente- accadesse, il testo esporrebbe il fianco a ingenti rischi derivanti dalle quasi certe censure della Corte Costituzionale. Presenta, in altre parole, caratteri di debolezza analoghi (sebbene non così macroscopici) a quelli della moratoria-Todde, dei quali abbiamo detto a suo tempo e che ora appaiono evidenti, finalmente, anche agli occhi dei suoi più convinti sostenitori.
Sebbene i Comitati confidino nell’efficacia della proposta Pratobello e operino nella convinzione che essa sia utile ad attivare la cittadinanza, si può replicare che la mobilitazione può essere invocata anche presentando un progetto di legge con minori lacune giuridiche e soprattutto prestando ascolto ad obiezioni che ne mettano in luce gli aspetti di debolezza per evitare che anche questo tentativo vada a schiantarsi contro una soccombenza certa davanti alla Consulta.
È incontrovertibile, infatti, che non sia sufficiente – come qualcuno sta facendo – appellarsi esclusivamente alla competenza della Regione in materia di pianificazione urbanistica. Taluno ha richiamato con entusiasmo la recente sentenza n. 103/2024 della Corte Costituzionale in materia di eolico su terreni gravati da usi civici in Sardegna; ma tale pronuncia, in realtà, è incentrata prevalentemente sulla carenza di motivazioni del Governo, in quella sede ricorrente, piuttosto che sul riconoscimento dell’efficacia di quello strumento.
Inoltre, la competenza in materia di urbanistica della Regione non è, di per sé, sufficiente a sventare l’attacco: se questa legge venisse approvata, la Corte Costituzionale sarebbe chiamata ad operare un bilanciamento tra diversi valori costituzionali ed è assai probabile, come accaduto in passato, che ritenga prevalenti l’interesse nazionale alla produzione di energia rinnovabile e l’adempimento degli obblighi di origine europea rispetto alle prerogative urbanistiche della nostra Regione.
In altre parole, la legge Pratobello presenta un tallone d’Achille sostanzialmente analogo alle più volte evidenziate fragilità della moratoria-Todde. Chiaramente qualcuno sosterrà che questa è colonizzazione, ma piaccia o non piaccia il tavolo da gioco al momento è questo e qualsiasi soluzione deve superare indenne lo scoglio della Corte Costituzionale. Se poi si vuole percorrere un sentiero non giuridico, abbiamo già visto cosa è accaduto al porto di Oristano.
È ipotizzabile, tuttavia, un’altra strada che potrebbe essere percorsa in tempi rapidissimi e con esiti probabilmente più favorevoli.
Questa possibilità ruota attorno alla legge sulle aree idonee e volge a favore della Sardegna gli impedimenti introdotti dal decreto Draghi (art. 20, d.lgs. n. 199/2021).
Com’è noto, la Regione è tenuta ad emanare, entro 180 giorni dall’entrata in vigore del decreto ministeriale Pichetto Fratin (pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 2 luglio 2024) una legge che individui le aree idonee all’installazione degli impianti, per la quota assegnata alla Sardegna (6,2 GW). Per inciso: a chi dice che in Sardegna non devono essere ammesse aree idonee, va ricordato che la Sardegna non può sottrarsi alla quota assegnatale; non solo perché il decreto Draghi prevede che le aree non incluse tra le aree idonee non possono essere dichiarate non idonee all’installazione di impianti di produzione di energia rinnovabile, in sede di pianificazione territoriale ovvero nell’ambito di singoli procedimenti, in ragione della sola mancata inclusione nel novero delle aree idonee (comma 7) ma soprattutto perché, in caso di mancata individuazione delle stesse può procedere direttamente lo Stato mediante l’attivazione di poteri sostitutivi (comma 4; e, a quel punto, le aree idonee verrebbero individuate a Roma, anziché a Cagliari).
Certi slogan, pertanto, vanno bene per raccogliere applausi nelle piazze ma non fanno i conti con la realtà e col quadro normativo attualmente in vigore.
Un comunicato stampa della Regione di qualche giorno fa ha reso noto che il disegno di legge sulle aree idonee verrà presentato in Consiglio Regionale nientemeno che ad ottobre. Tempi biblici, in altre parole. La Regione, pertanto, sta spendendo tutto il tempo concessole per elaborare una legge dettagliata che presumibilmente darà luogo a numerosi conflitti con i territori.
La strada, invece, dovrebbe essere un’altra, completamente diversa. E deve sfruttare a proprio vantaggio l’art. 20, comma 6 del decreto Draghi: proprio quello che vieta le moratorie, di cui più volte abbiamo parlato.
Recita la norma: nelle more dell’individuazione delle aree idonee, non possono essere disposte moratorie ovvero sospensioni dei termini dei procedimenti di autorizzazione.
Detto in termini più semplici: le moratorie sono vietate non in assoluto, ma nelle more dell’individuazione delle aree idonee.
Ciò signfica che la Regione potrebbe approvare velocemente e immediatamente una prima legge sulle aree idonee che potremmo chiamare “provvisoria”, utilizzando come base necessitata le indicazioni fornite dal decreto Pichetto Fratin e dalla normativa transitoria ex art. 20.8 del decreto Draghi (ma anche le aree già individuate dalla legge n. 5 e, perché no, dalla proposta Pratobello). Quand’anche tale normativa risultasse non dettagliatissima, consentirebbe comunque di far scattare in capo alla Regione il potere di moratoria (a differenza dell’inutile legge-Todde, approvata dalla maggioranza a luglio ed emanata in assenza di tale potere essendo ancora assente la legge sulle aree idonee) e per quanto riguarda i dettagli potrebbe essere integrata con un secondo, successivo, intervento legislativo.
La Regione, in questo modo, godrebbe ex art. 20.6 della possibilità di bloccare efficacemente tutti i procedimenti in corso, senza che la Corte Costituzionale possa muovere le stesse obiezioni sollevate alle Regioni Abruzzo e Friuli (e quelle che prevedibilmente contesterà alla Sardegna), in attesa della pianificazione urbanistica evocata dalla legge Pratobello (la quale invece, così strutturata, è priva di una base normativa e costituzionale che le consenta di bloccare tutto).
A quel punto, la Sardegna disporrebbe di tutto il tempo per esaminare compiutamente le pratiche in corso e di concedere soltanto le autorizzazioni di sua competenza strettamente necessarie a raggiungere le ineludibili quote annuali previste dal decreto Pichetto Fratin (e magari, nelle more, ci sarebbe anche il tempo di ridiscutere col Governo la soglia dei 6.2 GW). Potrebbe anche, in seguito, approvare per legge un tetto massimo di produzione nonché l’introduzione di un ente pubblico che gestisca il fenomeno a vantaggio dei sardi e non a favore delle multinazionali (sub iudice).
Questa soluzione potrebbe essere adottata in tempi brevissimi e rivelarsi assai più efficace delle soluzioni finora in campo, le quali paiono destinate in tempi brevi ad una sorte infausta.
Antonio Piras