La giornata odierna rappresenta una svolta significativa della campagna elettorale. Il raffronto tra la scelta della Coalizione Sarda di aprire le danze nello straordinario scenario di Sa Cantinedda e le contestuali uscite degli altri due contendenti ha fatto scaturire indicazioni di notevole rilevanza sulle filosofie alla base dei rispettivi schieramenti. Sono proprio la Todde e Truzzu ad uscirne notevolmente ridimensionati, sotto numerosi profili; non ultimo, quello dell’immagine. Al cospetto dell’energica folla radunatasi a Ula Tirso, di fronte agli straordinari colori del Lago Omodeo, col verde e l’azzurro illuminati da un sole primaverile a fare da sfondo alla Diga di Santa Chiara col sublime sottofondo musicale di Piero Marras, le immagini provenienti dal Padiglione D della Fiera di Cagliari, in cui il Campo Largo ha aperto la campagna elettorale, e quelle che arrivavano da Sassari, sede scelta dal centrodestra, sono apparse – nonostante i proiettori e i maxischermi – scialbe, vecchie e, sinceramente, sconfortanti non foss’altro per la carenza di idee.
L’apertura della campagna, infatti, non può essere assimilata ad uno qualsiasi degli altri incontri che animano questa fase così coinvolgente della politica. Sarebbe, ovviamente, impensabile svolgere tutte le assemblee in siti spettacolari. Ma per l’apertura il discorso è diverso: è il luogo in cui i candidati scelgono dove iniziare il cammino, quello che considerano simbolico per i propri progetti futuri, quello in cui possono mostrare le proprie intenzioni programmatiche. Già nel 2004 Soru optò per un luogo magnifico, l’imponente Nuraghe Losa; vent’anni dopo è toccato ad una sede altrettanto incantevole, che unisce la bellezza naturalistica all’ammirevole ingegno umano che circa un secolo fa diede origine al bacino (in quel momento) più grande d’Europa e ad una delle dighe, per quei tempi, più alte del mondo. Un’opera che consentì di attenuare il problema della siccità estiva nel Campidano nonché di assicurare la produzione di energia elettrica a vantaggio di vaste zone della Sardegna. La Todde e Truzzu non hanno saputo andare oltre la solita sala con posti limitati.
Se il ricorso a un Padiglione fieristico o al teatro sassarese rende sufficiente una semplice prenotazione delegabile ad un qualsiasi collaboratore, la scelta di Ula Tirso si rivela significativa sotto diversi profili. Innanzitutto presuppone una profonda conoscenza della Sardegna, delle sue aree interne e della sua storia. Ma anche di ciò che si intende fare. Chi aspira ad amministrare l’Isola, deve necessariamente padroneggiarne non solo i luoghi simbolici e “mainstream” ma, soprattutto, quelli meno noti, affinché possano essere valorizzati come meritano trainando i territori circostanti in ambito economico e sociale. La conoscenza della storia – anche quella industriale – è invece fondamentale per trarre spunto dagli aspetti positivi ed evitare il ripetersi degli errori (se non orrori) del passato; e per far capire che se in Sardegna, un secolo fa, era possibile realizzare opere di rilievo non solo regionale, non solo nazionale ma addirittura europeo, non esistono ragioni per affermare che tali successi non possano essere replicati anche oggi.
È fondamentale, poi, possedere la capacità e l’orgoglio di mostrare ciò che di bello la nostra terra può offrire: non solo le coste, non solo gli imponenti monumenti archeologici, ma anche luoghi meno conosciuti che potrebbero diventare enormemente attrattivi se solo li si sapesse guardare avvalendosi di nuove prospettive. Anche le aree interne sono in grado di offrire scenari mozzafiato e storie sorprendenti: ma, per farlo, è necessario disporre di una conoscenza profonda della nostra isola, che non si può certo acquisire con fugaci tour elettorali a poche settimane dalle elezioni. Non è ipotizzabile, diversamente da ciò che vuol farci credere qualcuno, affermare di conoscere la Sardegna solo perché si allestisce qualche decina di incontri preconfezionati con un pubblico amico, senza domande aperte, senza un confronto democratico e sincero anche con chi vuole muovere qualche obiezione scomoda.
Ecco la ragione per cui, oggi, le luci basse del teatro di Sassari ed il grigiore dell’anonimo Padiglione D stridono in maniera dirompente col maestoso scenario naturale ma anche ingegneristico della valle del Tirso. Di fronte alla Sardegna reale, con tutte le sue potenzialità naturalistiche, turistiche, industriali e umane, con l’ampiezza delle sue vedute, il vento che porta aria fresca e nuova e con la bellezza dei luoghi a rendere più suggestivi i discorsi e ad ispirare progetti ambiziosi, quel Padiglione e quel teatro sono apparsi luoghi ben più vetusti della Diga di Santa Chiara che invece, a distanza di un secolo, rimane fonte di ispirazione per orizzonti lontani.
Antonio Piras