Nel romanzo “Il deserto dei Tartari”, di Dino Buzzati, il protagonista – il sottotenente Giovanni Drogo – viene assegnato alla remota “Fortezza Bastiani”; ossia, un isolato avamposto del Regno, un tempo luogo cruciale della vita militare ma ridotta, al tempo del racconto, a luogo periferico privo, ormai, di importanza reale. I militari assegnati alla Fortezza trascorrono le loro vite nell’attesa di un’incursione nemica – e della possibilità di compiere gesti eroici – la quale, però, non si verificherà.
Il romanzo di Buzzati costituisce uno spunto per analizzare alcuni settori dell’indipendentismo sardo. Di fronte alla svolta storica che potrebbe delinearsi grazie alla Coalizione Sarda, esiste una corrente di pensiero contraria che preferisce vivere nella Fortezza Bastiani, in attesa di eventi che avranno luogo chissà quando; e, dal loro avamposto, distante da ciò che di importante sta accadendo nella società, analizzano al microscopio, con inflessibile fermezza, i tentativi di chi prova, con impegno, a unire un mondo che è sempre stato diviso e che ora, per la prima volta, si presenterà coalizzato suscitando speranze in una vasta fetta della popolazione sarda.
Ovviamente, tali analisi terminano sempre con un giudizio sprezzante: nessuno è abbastanza puro da meritare sostegno nella lotta.
Uno degli argomenti principali degli “Indipendentisti della Fortezza” è, da sempre, la presenza di partiti italiani nelle liste; fatto che rende impossibile qualsiasi possibilità di dialogo. Ora che nasce una coalizione priva di partiti italiani, si sottolinea il fatto che il leader ha militato in un partito italiano. Ma anche Michela Murgia, nel 2014, guidò Sardegna Possibile pur provenendo dal Partito Democratico. Si fa, allora, notare, dall’altra parte, che magari, in futuro, potrebbe aderire qualche formazione italiana, e che non ci si può sporcare le mani di fronte ad un rischio del genere: è preferibile una dissociazione preventiva.
È chiaro che nessuno potrà mai costringere alla partecipazione chi non lo voglia. Ma, analizzando da un punto di vista politico tali posizioni, sono doverose almeno due considerazioni.
In primis: è cosa buona e giusta perseguire grandi ideali. È anche necessario, però, che questi ideali si tramutino in azioni concrete volte realmente a cambiare le cose. E, per modificare lo status quo, è necessario essere presenti nei luoghi in cui si prendono le decisioni. Se, con i pretesti più vari, più o meno condivisibili, si abdica in eterno a questo ruolo, le decisioni verranno sempre assunte da altri e l’obiettivo auspicato non si raggiungerà mai. I puristi potranno continuare a fregiarsi del proprio candore, ma a che prezzo?
E qui veniamo al secondo interrogativo. Essere “puristi”nel senso poc’anzi delineato costituisce una medaglia da appuntarsi al petto o, nel concreto, un male per la Sardegna? Sicuramente, il fatto di non volersi miscelare con nessuno, perché uno ha la peste e l’altro ha la rogna, convince chi sostiene questa linea, dall’alto della propria posizione immacolata, di poter contestare chiunque dandogli del “collaborazionista”. Primo: collaborazionista con chi? Secondo: a pensarci bene, chi sono i veri collaborazionisti? Quali sono gli effetti di questa linea se non quelli di consentire l’insediamento di chi, applicando decisioni prese altrove, sono portatori di interessi antitetici rispetto a quelli dell’Isola?
Possiamo affermare, pertanto, che il risultato di queste teorie ha condotto la Sardegna ad essere (quasi) sempre amministrata da chi sostiene politiche esattamente opposte a quelle predicate dai puristi.
E così, nell’eterna attesa dei Tartari, o di un Messia perfettamente corrispondente ai loro candidi auspici, i teorici della linea del purismo fanno sì che, pur di non lottare a fianco di coloro dei quali non condividono un aspetto su dieci, lasciano che a governare siano coloro dei quali non ne approvano nove su dieci. È, in altre parole, una linea politica autolesionista.
Le elezioni si svolgeranno il 25 febbraio 2024. C’è da dubitare che, prima di tale data, i puristi avranno ottenuto gli obiettivi che auspicano. È assai più probabile, invece, che il loro comportamento avvantaggi chi – non solo non vuole l’Indipendenza ma – continuerà ad amministrare la Sardegna come una colonia.
Mancano ancora due mesi e c’è tutto il tempo per capire l’errore e unirsi a chi vuole una Sardegna guidata da sardi nell’interesse dei sardi. Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur. (A.Piras)