Il parere legale dello Studio Iacovino sostiene, fin dal titolo, la tesi secondo cui la “la Governatrice della Sardegna non può essere dichiarata decaduta”. Va detto in premessa che non potrebbe decadere nessuna Governatrice ma, semmai, la Presidente della Regione. In ogni caso, la consulenza si rivela interessante e rende opportuna un’analisi nel merito.
Il parere esordisce affermando che “l’equivoco, poi chiarito, nasce dall’erronea dichiarazione resa dalla Presidente Todde il 15 giugno 2024, in cui afferma di aver ricevuto contributi per 90.629 e sostenuto spese per 90.670. Errore evidente ed evincibile dagli allegati della dichiarazione. Tanto è vero che la Presidente allega rendiconti di spese elettorali e fonti di finanziamento sostenute dal Comitato Elettorale del M5S”.
Secondo il legale, essendo state le spese commissionate e sostenute dal Comitato, si renderebbe inapplicabile alla Todde la contestazione prevista dall’art. 7, comma 6, della l. 515/1993, in quanto “l’eletta Presidente, con memoria del 4.12.2024 ha dichiarato e chiarito, tempestivamente e con effetto sanante, di essersi avvalsa esclusivamente di materiali e mezzi propagandistici messi a disposizione dal partito o dalla formazione politica di appartenenza.(…) Pertanto, sia nell’uno che nell’altro caso, la dichiarazione di spesa c’è e non è, dunque, ipotizzabile la decadenza prevista solo per il mancato deposito della dichiarazione”.
Tali considerazioni meritano una replica.
1. Non si può dire, innanzitutto, che l’equivoco sia stato chiarito: semmai, è vero il contrario. Lo stesso Collegio, nell’ordinanza, rileva proprio che “la candidata alla carica di Presidente non ha fornito chiarimenti in ordine al motivo per cui ella ha reso la dichiarazione in data 15 giugno 2024 in cui afferma di aver sostenuto spese”.
In altre parole, la presentazione della seconda dichiarazione non solo non fugato i dubbi ma in realtà li ha ampliati: come si può attribuire ad un semplice errore l’aver prima dichiarato il sostenimento di spese per 90.000 euro, allegando il rendiconto del Comitato M5S, e poi attestare di non averne sostenuto alcuna, senza fornire spiegazioni in merito? Si tratta di due dichiarazioni in aperto contrasto tra loro, una delle quali è, necessariamente, non veritiera. Quale delle due è, dunque, rilevante?
2. Afferma il legale che la seconda dichiarazione – quella che esclude il sostenimento delle spese dirette da parte della candidata rendendo, quindi, non necessaria la nomina del mandatario e l’allegazione della documentazione – chiarirebbe “con effetto sanante” l’erronea dichiarazione originaria presentata a giugno. La possibilità di sostituire la prima dichiarazione con la seconda verrebbe avallata, secondo il parere, dalla sentenza della Cassazione n. 8263/2021, che ammette si possa “sanare ab origine la condotta illecita previa presentazione ora per allora della dichiarazione mancata nel termine iniziale”.
In realtà, tale pronuncia si rivela inconferente e non apporta particolari novità interpretative riguardo a quanto già previsto dall’art. 15, comma 8, l. 515/1993, il quale afferma che in caso di mancato deposito – nel termine previsto – della dichiarazione di cui all’art. 7.6 il Collegio applica la sanzione “previa diffida a depositare la dichiarazione” e che la decadenza, in tal caso, opererebbe a seguito della mancata presentazione della dichiarazione entro 15 giorni dall’intimazione.
È evidente, pertanto, come la norma consenta di presentare tardivamente la dichiarazione, a seguito di diffida, solo in caso di mancata presentazione della stessa. Ossia, qualora nemmeno esista una dichiarazione originaria.
Tuttavia, nel nostro caso, una prima dichiarazione (priva, però, di alcuni elementi essenziali) era già stata presentata: quella secondo cui la Todde avrebbe sostenuto spese e ricevuto finanziamenti per circa 90 mila euro. La norma (conformemente all’interpretazione della Cassazione) consente dunque di rimediare tardivamente in caso di omessa presentazione della dichiarazione, mentre non permette di sconfessare una dichiarazione già presentata – nella quale si attesta sull’onore che le spese ci sono – a favore di una seconda in cui si dice l’esatto opposto. Se il legislatore avesse voluto consentire questa possibilità, l’avrebbe contemplata espressamente: non lo fa perché offre ai candidati la facoltà di ovviare ad una dimenticanza ma non di fornire una versione completamente opposta, la quale comporterebbe la perpetrazione di un illecito (ossia, dichiarare il falso in almeno uno dei due casi): eventualità che l’ordinamento non può ammettere.
La seconda dichiarazione, pertanto, non poteva essere presa in considerazione da parte del Collegio semplicemente perché la legge non lo consente, esistendo già una prima dichiarazione (sia pur non valida, come vedremo nel punto 5). Ne consegue, in definitiva, che l’equivoco non viene assolutamente chiarito con le memorie di dicembre e che non è stato ottenuto alcun effetto sanante in tale occasione.
3. Il parere richiama l’art. 7, comma 2, della l. 515/1993 per giustificare la dichiarazione con cui la Todde assicura di non aver sostenuto spese. Si proclama che esse, sulla base di tale norma, vadano imputate all’effettivo committente (quindi non alla candidata?).
In realtà, invocare tale disposizione non è corretto: se è vero che essa sancisce che “le spese per la propaganda elettorale, anche se direttamente riferibili a un candidato o a un gruppo di candidati sono computate esclusivamente al committente che le ha effettivamente sostenute”, è altrettanto vero – il parere dimentica di dirlo – che ciò è previsto solo “ai fini del limite di spesa di cui al comma 1”.
Ossia: se il committente sostiene costi per Tizio, questi vanno imputati al committente solo ai fini del calcolo del limite di spesa; ma ciò giammai esclude che vadano rendicontate e che debbano transitare per il mandatario e per il conto dedicato. Ne consegue che tale argomentazione si rivela inconsistente per giustificare quanto sostenuto dal parere.
4. La consulenzanon fornisce deduzioni utili su uno degli aspetti più importanti dell’ordinanza. Ossia, la mancata presa in considerazione delle fatture indicate a pagina 7 del provvedimento. Non viene chiarito come mai sia stata rilasciata la dichiarazione di assenza di spese nonostante la presenza di tali fatture. Nè, come detto, soccorre a tal fine il richiamo all’art. 7, comma 2, riguardante l’imputazione all’effettivo committente in quanto esso, come visto al punto precedente, concerne soltanto il calcolo del limite di spesa mentre non consente di sfuggire al tracciamento delle operazioni secondo le modalità della l. 515/1993. Sarebbe stato, senz’altro, conveniente fornire spiegazioni in merito.
5. Il passaggio cruciale del parere è comunque quello che affronta l’asserita illegittimità dell’ingiunzione disposta dal Collegio. Riprendendo un’argomentazione sostenuta (più o meno consapevolmente) anche da altri, il legale contesta l’applicabilità della decadenza poiché essa scatterebbe solo in assenza della dichiarazione ex art. 7, comma 6; la quale, secondo l’Avvocato, sarebbe stata in realtà presentata. Nemmeno tale argomentazione appare convincente per le seguenti ragioni.
Ipotesi A. Esiste una sola eventualità che giustificherebbe l’assenza della documentazione: ossia, che si consideri ammissibile la seconda dichiarazione sull’onore, quella del 4 dicembre in cui la Todde afferma di essersi avvalsa esclusivamente di materiali e mezzi messi a disposizione dalla formazione politica di appartenenza.
Il problema, in questo caso, scaturisce dal fatto che – come si è visto sopra – la legge consente, a seguito della diffida, di sanare la mancata presentazione della dichiarazione ma non di sostituire la prima dichiarazione con una di tenore opposto. Pertanto, perché possa essere data per buona la tesi dell’assenza di spese/finanziamenti, i legali della Presidente dovrebbero:
- a) sostenere un’ipotesi (sostituibilità della prima dichiarazione) non contemplata dalla legge né dalle pronunce della Cassazione e sperare che essa faccia breccia nella giurisprudenza nonostante il chiaro dettato normativo;
- b) una volta ottenuto l’accoglimento di tale ardita interpretazione, dimostrare che le spese richiamata dall’ordinanza del Collegio a pagina 7 non fossero riferite alla candidata; impresa proibitiva, tenendo conto delle intestazioni che il collegio richiama.
- c) qualora venisse scavalcato anche questo secondo, impervio, ostacolo, permarrebbe l’enorme incognita del contrasto tra le due dichiarazioni, in particolare per l’eventuale rilevanza che per la Procura – alla quale sono stati trasmessi gli atti – potrebbe rivestire l’inconciliabilità tra due attestazioni tra loro antagoniste rilasciate alla Pubblica Amministrazione.
Ipotesi B. Qualora si reputasse inammissibile, per i motivi visti poc’anzi, la dichiarazione del 4 dicembre, sostiene il parere che una dichiarazione comunque ci sarebbe: ossia, quella del 15 giugno; essendo presente la quale non sarebbe possibile applicare la sanzione della decadenza dalla carica dato che l’art. 15, comma 7, contempla la medesima solo per le due fattispecie del superamento dei limiti di spesa oltre il doppio nonché, appunto, dell’assenza della dichiarazione: sia ab origine che dopo la diffida del Collegio.
La fragilità di questa argomentazione si rinviene nel non tenere ben distinta la dichiarazione ex art. 7, comma 6, l. 515/1993 da quella di cui all’art. 2, l. 441/1982. Esse andrebbero, infatti, immaginate come due cerchi concentrici: l’art. 7.6, infatti – a pena di decadenza! – richiede che il candidato presenti sì la dichiarazione ex l. 441/1982 (con la quale, semplicemente, il candidato dichiara sull’onore di aver sostenuto o meno spese e assunto obbligazioni) ma che oltre alle informazioni previste da tale legge venga allegato il rendiconto, l’indicazione dei contributi e servizi (con soglie), l’estratto conto bancario; nonché la fondamentale certificazione di veridicità da parte del mandatario.
Nel nostro caso, se è incontestabile la presenza della dichiarazione ex l. 441/1982, non si può dire altrettanto per gli altri dati da allegare ex art. 7, comma 6, del cui insieme la prima costituisce solo uno dei componenti.
In altre parole, non basterebbe asserire di aver sostenuto spese senza poi annettere tutta la documentazione a corredo: in assenza degli allegati, quanto richiesto dall’art. 7.6 non può dirsi integrato e pertanto, ai sensi dell’art. 15, comma 8, scatta la decadenza dalla carica (non essendo stato fornito quanto richiesto nemmeno in fase di memorie).
Non a caso, la semplice sanzione pecuniaria è prevista in caso di irregolarità (art. 15, comma 11), non di assenza degli stessi; ed infatti, è proprio dei medesimi che il Collegio aveva correttamente richiesto l’integrazione.
È proprio per questa ragione che l’art. 15.8, nel contemplare la decadenza, richiama la dichiarazione di cui all’art. 7.6 e non semplicemente quella di cui alla l. 441/1982. Quest’ultima – sia pur asseritamente errata – è presente ma costituisce solo uno dei requisiti della prima la quale, pertanto, potrebbe essere considerata carente di elementi essenziali per poter essere considerata valida.
In virtù di tale motivo, in sede di memorie, si sarebbero potuti integrare gli allegati ma non dichiarare l’opposto rispetto a quanto già asserito: abbiamo già visto che l’ordinamento non potrebbe richiedere, per sanare un vulnus, di commettere un illecito (ossia rendere una dichiarazione che impone di considerare falsa l’altra o viceversa); ecco perché si rivela diverso il caso della dichiarazione completamente omessa, per la quale l’art. 15.8 consente, infatti, la presentazione tardiva la quale non sconfessa affermazioni anteriori.
In conclusione:
– se la prima dichiarazione è carente di elementi essenziali, come elencati dall’art. 7.6, taluni di questi documenti possono essere integrati in sede di memorie; in caso contrario, essa va considerata come non integrata e ne consegue la decadenza dalla carica ex art. 15, comma 8;
– se, invece, la prima dichiarazione è del tutto assente, essa può essere presentata tardivamente entro 15 giorni dalla diffida: la presentazione della dichiarazione originaria entro tale termine sana la violazione. Qualora, invece, si persista nell’inadempienza, diventa anche in tale ipotesi inevitabile la decadenza.
6. Un ultimo aspetto del parere riguarda le conseguenze del voto da parte del Consiglio Regionale. Di questo, ci occuperemo in separata sede. Sul punto, basti dire per il momento che appare del tutto stravagante la teoria, circolata nelle ultime ore, secondo cui la Giunta per le Elezioni del Consiglio Regionale non sarebbe competente ad esaminare l’istruttoria dato che la Todde sarebbe stata eletta di diritto in quanto Presidente. L’art. 14 della legge Statutaria include anche la Presidente tra i consiglieri a cui spetta il seggio (non a caso, sul sito del Consiglio è correttamente inserita tra gli altri onorevoli); e l’art. 17 del regolamento interno della massima Assemblea sarda non opera una distinzione di questo tipo. Non si comprende, pertanto, quale sia il fondamento di tale argomentazione. Tuttavia, come detto, sulla questione ci si soffermerà più approfonditamente in seguito.
Antonio Piras