L’ordinanza emessa dal Collegio regionale di garanzia elettorale è finalmente pubblica e fa emergere in maniera lampante la superficialità con cui sarebbe stato gestito un adempimento importante quale la rendicontazione delle spese della campagna elettorale; fa apparire, inoltre, debolissima la linea adottata dalla maggioranza, che evoca fastidi arrecati a fantomatici poteri forti (Manca), la non definitività della contestazione (Todde) o la presunta abnormità del provvedimento (avv. Ballero).
In realtà, i poteri forti non c’entrano nulla, dato che le violazioni della normativa appaiono lampanti; il fatto che il provvedimento non sia definitivo non esclude la considerevole rilevanza delle inadempienze; il provvedimento non è abnorme in quanto applica alla lettera quanto previsto dalla legge per tali violazioni.
A differenza di quanto indicato in un primo momento dalla stampa, che ipotizzava violazioni nel superamento del tetto di spesa, la lettura dell’ordinanza fa emergere che le violazioni commesse sono altre (resta, comunque, ferma la procedura descritta nel precedente articolo).
In particolare, il Collegio di garanzia aveva in origine contestato ben sette violazioni alla Todde; solo con riferimento ad una di queste sono stati forniti adeguati chiarimenti, mentre restano in piedi le altre sei.
Prima di esaminare tali inadempienze, è opportuno richiamare l’art. 7 della l. 515/1993. Rilevano, in particolare, i commi 3, 4 e 6 di tale articolo, ossia quelli su cui si basano le contestazioni del Collegio. Essi prevedono:
– che dal giorno successivo all’indizione delle elezioni, coloro che intendano candidarsi possano raccogliere fondi per il finanziamento della propria campagna elettorale esclusivamente per il tramite di un mandatario elettorale, il cui nome deve essere dichiarato per iscritto al Collegio regionale di garanzia elettorale; nessun candidato può designare alla raccolta più di un mandatario;
– che il mandatario registra tutte le operazioni relative alla campagna elettorale, avvalendosi di un unico conto corrente (e gli enti creditizi devono identificare le generalità di chi effettua versamenti su tali conti);
– che una dichiarazione concernente le spese sostenute (art. 2, l. 441/1982) deve essere inviata anche al Collegio di garanzia, allegando altresì un rendiconto relativo ai contributi e servizi ricevuti e alle spese sostenute, con indicazione analitica di una serie di contributi, nonché gli estratti dei conti correnti utilizzati a tal fine. Inoltre – e questo è un punto che si rivelerà fondamentale – il rendiconto deve essere sottoscritto dal candidato e controfirmato dal mandatario, che ne certifica la veridicità in relazione all’ammontare delle entrate.
Tali adempimenti sono talmente importanti da essere imposti anche ai candidati non eletti.
Ebbene, leggendo l’ordinanza del Collegio, si avverte subito che sono stati commessi errori rimarchevoli nell’effettuazione di tali adempimenti:
– Punto 1: la dichiarazione di spesa non sarebbe conforme a quanto previsto dall’art. 7, comma 6, in quanto i moduli sarebbero stati sottoscritti solo dalla candidata e non dal mandatario e il rendiconto allegato sarebbe quello del comitato elettorale dei M5S anziché della candidata;
– Punto 2: il mandatario, il quale – come visto – è colui che deve registrare tutte le operazioni nonché accertare la veridicità delle stesse, addirittura non risulterebbe essere stato nominato;
– Punto 3: non risulta essere stato aperto il conto corrente dedicato a tali operazioni;
– Punto 4: mancherebbe l’asseverazione e la sottoscrizione del rendiconto da parte del mandatario;
– Punto 5: non sarebbe stato prodotto l’estratto conto bancario o postale;
– Punto 6: riguardava l’assenza dei nominativi dei finanziatori ma questo aspetto è stato chiarito in sede di presentazione di memorie;
– Punto 7: non risulterebbe il conto corrente sul quale siano confluite le somme indicate nell’elenco delle operazioni Paypal prodotto dalla candidata.
Come si può notare, confrontando l’art. 7 con le contestazioni, si tratta di adempimenti previsti dalla legge in maniera chiara e indiscutibile. A quest’ultimo proposito, il Collegio spiega bene la ragione per cui tali passaggi sono imposti: ossia, garantire la trasparenza, “affinché sia possibile individuare gli autori di ogni singolo finanziamento percepito dal candidato partecipante alle elezioni, di modo che – una volta che il candidato sia eletto – sia possibile individuare immediatamente se esiste un collegamento diretto tra quest’ultimo e la scelta amministrativo – politica che viene effettuata dopo l’assunzione dell’incarico”; pertanto, “tale individuazione appare offuscata se i finanziamenti, seppur direttamente relativi alla campagna elettorale di un singolo candidato, sono registrati da un comitato che li indica essere stati raccolti anche per la campagna elettorale del partito”.
In altre parole, in assenza di questi accorgimenti, come si può sapere se un candidato, una volta eletto, operi – anziché nell’interesse pubblico – a vantaggio di finanziatori che in questo modo rimarrebbero di difficoltosa individuazione?
Osserva, poi, il Collegio, come esistano due dichiarazioni della Todde in contrasto tra loro: una del 15 giugno 2024, “in cui asserisce di aver sostenuto spese e ricevuto contributi e/o servizi” ed un’altra, del 3 dicembre 2024, in cui “ha dichiarato sul suo onore di non aver sostenuto spese, assunto obbligazioni, né ricevuto contributi e/o servizi nonché di essersi avvalsa esclusivamente di materiali e mezzi propagandistici messi a disposizione del partito o della formazione politica della cui lista ho fatto parte”.
A quest’ultimo proposito il Collegio osserva come con la memoria di dicembre la Todde sconfesserebbe la sua stessa dichiarazione rilasciata sei mesi prima, senza peraltro che ciò fosse richiesto; le contestazioni del Collegio riguardavano, infatti, la non conformità della dichiarazione di spesa e del rendiconto.
Di conseguenza, secondo il Collegio di garanzia, “alla luce delle rilevate irregolarità e violazioni delle norme penali inerenti il deposito di dichiarazioni contrastanti e delle anomalie rilevate, si impone la trasmissione di copia degli atti succitati alla Procura della Repubblica in sede per quanto di eventuale competenza”.
Lo stesso Collegio ha disposto, poi, l’applicazione di una sanzione amministrativa pari a 40.000 euro, nonché, come già noto, la comunicazione dell’ordinanza alla Presidenza del Consiglio Regionale per l’adozione del provvedimento di decadenza (senza il quale, lo ripetiamo, questa non potrà prodursi); ossia di una conseguenza che non è stata decisa a tavolino dai poteri forti, ma che è prevista espressamente dall’art. 15 della l. 515/1993 in caso di violazione delle norme che disciplinano la campagna elettorale, tra cui l’art. 7 di cui si è detto poc’anzi.
In una successiva occasione sarà interessante esaminare i possibili rimedi contro la decisione che il Consiglio Regionale adotterà in proposito.
Resta da capire come sia possibile che chi si candida a guidare una Regione con un bilancio da oltre 8 miliardi di euro incorra in errori così marchiani nella rendicontazione di spese che sono, in confronto, irrisorie. E ciò è ancor più rilevante considerandone la provenienza da un Movimento che, originariamente, chiedeva addirittura la produzione degli scontrini ai propri eletti.
Certo è che, indipendentemente dalla decadenza o meno dalla carica, suscita profonde perplessità il fatto che, a determinati livelli, si trascurino in maniera così superficiale le norme dettate con la finalità di garantire la trasparenza e la correttezza delle competizioni elettorali. L’onestà tanto decantata da qualcuno passa anche per gli adempimenti burocratici e non solo per gli slogan con cui ci si autoproclama più puri degli altri.
Antonio Piras